mercoledì 24 dicembre 2008

NESSUNO LO DICE MA IL 2009 SARA’ L’ANNO DELLE PENSIONI L'Occidentale 24 dicembre

La proposta del Ministro dell’Innovazione e della Funzione Pubblica, Renato Brunetta (sull’età legale per il pensionamento di vecchiaia delle donne), avrebbe avuto un’accoglienza fredda in Consiglio dei Ministri (CdM). Nella conferenza stampa di fine anno, lo stesso Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ha affermato , con risolutezza, che il programma del Governo non prevede un’ulteriore riforma della previdenza, dopo la mezza dozzina che si sono susseguite dal 1993. Berlusconi ricorda ancora con preoccupazione quanto avvenne nell’inverno 1994 quando una serie di manifestazioni su uno schema di riassetto della previdenza (peraltro ancora non varato dal CdM) portò alla sua defenestrazione in seguito allo scollarsi della maggioranza. Il 2008 si chiude con una maggioranza in cui non mancano le tensioni: la fusione tra Forza Italia ed Alleanza Nazionale nel Popolo delle Libertà è meno semplice di quanto non sembrasse un anno fa, la Lega teme che altre priorità (riforma dell’ordinamento giudiziario , presidenzialismo) comportino ritardi sul piano del federalismo- l’obiettivo principale della partecipazione della Lega e alla coalizione e al Governo.
Senza dubbio studi recenti (ad esempio, quelli dell’Eurostat e del Laboratorio Revelli del Collegio Carlo Alberto di Moncalieri, nonché il freschissimo Iza Discussion Paper n. 3821 di cui sono autori Tito Boeri e Agar Brugiavini) indicano che in Italia l’età effettiva di pensionamento è in pratica già molto simile per i lavorati di genere femminile e per quelli di genere maschile. Inoltre, la transizione verso il sistema di calcolo contributivo per le spettanze e la crescente consapevolezza che l’indicizzazione copre soltanto parte dell’aumento del costo della vita inducono le donne a restare nel mercato del lavoro molto più di quanto non lo faccia l’età legale per la pensione di vecchiaia. Dati alla mano, le donne italiane non entrano nell’impiego perché a casa fanno il 73% del lavoro domestico (compresa la cura dei figli) rispetto al 62% delle americane (il resto è affidato ai mariti); se non si cambiano prassi in questo campo, quali che siano le sentenze della Corte di Giustizia Europea e le modifiche legislative, sarà difficile aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro nell’età più produttiva. In effetti, senza smuovere le acque ed utilizzare la parola proibita che inizia con la “p” (“pensioni”), basterebbe applicare gradualmente (nei Palazzi si parla di scansionarla su cinque anni, allungando ciascun anno di un anno l’età legale di pensionamento delle donne) la sentenza della Corte Europea ed essere in regola felici e contenti.
Tuttavia, la vera portata dell’indicazione di Brunetta (nel pubblico impiego, di cui è responsabile, le donne vanno in pensione generalmente prima di quanto lo facciano nel lavoro dipendente privato) non è l’adeguamento alla sentenza della Corte di Giustizia Europea ed evitare una procedura d’infrazione. Non è neanche la possibilità, nel breve periodo, di potenziali risparmi di spesa e di una maggiore partecipazione femminile nel mercato del lavoro. La proposta fornisce al Governo ed al Parlamento un grimaldello per scoperchiare la scatola delle riforme previdenziali in una fase in cui lo impongono tre elementi: a) le riforme iniziate nel 1995 sono incompiute, specialmente perché prevedono una transizione molto lunga (18 anni , e circa 30 anni per le pensioni di reversibilità, mentre in altri Paesi, ad esempio in Svezia, processi analoghi sono state effettuati in tre anni); b) la “riforma Damiano”, dal nome del Ministro del Governo Prodi, ha aumentato i costi del sistema ; c) la crisi finanziaria mondiale ed il rallentamento dell’economia reale ci pongono di fronte ad uno scenario molto differente rispetto a quello di alcuni fa quando si pensava (a mio parere a torto) di poter tenere un atteggiamento “soft” e molto gradualista (ove non temporeggiatore) in materia. Nell’immediato siamo di fronte ad un dilemma: migliorare gli ammortizzatori sociali per alleviare il peso della crisi sulle categorie più fragili (e più esposte al rischio di disoccupazione) oppure mantenere una struttura della spesa sociale (unica al mondo) che dedica alle pensioni circa due terzi di quanto disponibile.
Non utilizzare il grimaldello offerto da Brunetta vuole dire porre il costo del riassetto necessario interamente sulle categorie più deboli oggi e sulle generazioni più giovani domani, facendo fruire rendite alle fasce più avanti con l’età e meglio protette sotto il profilo sindacale (per i due terzi di genere maschile).
Sotto il profilo normativo, il punto centrale non è l’età legale per le pensioni di vecchiaia per le donne ma la durata della transizione (da meccanismo “retributivo” a meccanismo “contributivo” per il calcolo delle spettanze) ed i “coefficienti di trasformazione”) per convertire in assegni annuali i montanti di contributi contabilizzati.
Piaccia o non piaccia questi nodi sono venuti al pettine a ragione della crisi finanziaria. Ci è stato detto chiaro e tondo a Bruxelles quando abbiamo chiesto di utilizzare (per gli ammortizzatori sociali) risorse destinate ai fondi strutturali (specialmente quelle del Fondo sociale europeo- Fse).
Anche per chi non lo gradisce, il 2009 sarà l’anno delle pensioni. E’ non è che una delle tante riforme difficili da realizzare.

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