“La donna
serpente”, al Regio l’opera ritrovata di Casella
GIUSEPPE
PENNISI
Ritorna la
musica italiana obliata degli Anni Trenta. Dopo La campana sommersa di Ottorino
Respighi a Cagliari, al Regio di Torino, è in scena La donna serpente di
Alfredo Casella. La riscoperta dell’unica opera vera e propria del compositore
era avvenuta nel 2014 al Festival di Valle d’Itria.
L’edizione
torinese adatta al più vasto e più profondo palcoscenico della messa in scena
di Martina Franca, ma utilizza interpreti di statura internazionale e
soprattutto la bacchetta di Gianandrea Noseda, che recentemente ha prodotto
l’integrale delle sinfonie di Casella con la Bbc Philarmomic (incise in due
pregevoli Cd della Chandos). Potrebbe essere l’inizio di un nuovo percorso,
anche internazionale, dell’opera. Lo suggerisce il fatto che il 14 aprile al
Regio erano presenti non solo la critica musicale italiana al completo ma anche
critici delle maggiori testate straniere. La donna serpente nasce tra il
1928 e il 1931 come lavoro teatrale di un Casella quarantacinquenne che fino a
poco tempo prima, dall’alto della sua esperienza cosmopolita vissuta soprattutto
a Parigi, a stretto contatto di Fauré, Debussy, Ravel, Mahler, e Busoni, si
poneva come strenuo difensore della musica strumentale. Da esponente
dell’avanguardia e del movimento futurista, Casella riteneva che, esauritesi le
fasi del melodramma e del verismo, la nuova via del teatro in musica si
dirigesse verso la dimensione del gioco stilistico, dell’impiego di un
caleidoscopio di forme, generi e registri, di un pastiche in cui il
linguaggio musicale contemporaneo si fonde con stilemi del passato. Ne risulta
una partitura raffinata e piena di inventiva che ripropone, con ironia, la
complicata fiaba di Gozzi che aveva già affascinato Wagner, il quale ne aveva
fatto argomento della sua prima opera ( Die Fenn). In poche righe,
l’intreccio riguarda le dure prove a cui sono sottoposti una fata, desiderosa
di diventare donna, e il marito. Nella vicenda principale, al mondo dei Re e
dei Maghi (alle prese con grandi principi: Patria, Generosità, Amore) viene
giustapposto quello del popolo, le maschere della commedia dell’arte,
interessate principalmente alla buona cucina. La donna serpente non è
una parabola stilizzata (al pari della Campana sommersa) ma un puro
divertissement fiabesco (come L’amour de trois orange) di Prokofiev)
e un elogio alla musica i cui più vari generi vengono amalgamati con saggezza.
Il pubblico del Regio è parso affascinato grazie al lavoro congiunto di un
maestro concertatore sensibile e “caselliano” come Noseda e del regista Arturo
Cirillo. Con l’aiuto delle scene di Dario Gessati e dei variopinti costumi di
Gianluca Falaschi, hanno dato una coesione unitaria, non facile da realizzare,
al testo e alla partitura. Molto attento il lavoro con le voci: 18 i solisti,
tutti di buon livello. Tra essi spiccano Carmela Remigio (che con il passare
degli anni sta gestendo con maestria la propria vocalità), Piero Pretti (un
tenore spinto con un ottimo registro di centro), Anna Maria Chiuri e Roberto De
Candia.
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