Cosa penso dell’Egitto e del
caso Regeni
Il corsivo
dell'economista Giuseppe Pennisi
Per una
volta intendo rompere la regola che mi sono dato di non scrivere di quei Paesi
dove ha lavorato per conto della Banca Mondiale e per le agenzie delle Nazioni
Unite.
Come ha ben
detto Giancarlo Loquenzi su questa testata, “non si saprà mai la verità”
sul caso Regeni, non tanto perché il Presidente Abd al-Fattah al-Sisi e
il suo entourage non vogliano scoprire i colpevoli , ma perché il Capo di Stato
e di Governo ha poteri limitati . Il generale poco più di un “primus inter
pares”, un coordinatore-moderatore del Consiglio Supremo Militare, diviso a sua
volta in varie fazioni (con strutture di supporto), unite essenzialmente
dall’essere sunniti moderati o anche laici, e dal detestare i Fratelli
Mussulmani. E’ indubbio che il Governo ha un’idea particolare della
democrazia e un’opinione ancora più peculiare dei diritti umani.
Da quanto
traspare dalla stampa, le indagini e i sospetti, tanto degli inquirenti
egiziani quanto di quelli italiani, sono indirizzati verso i vari apparati di
polizia. A mio avviso, però, è impossibile che le autorità competenti riescano
a trarre un ragno dal buco, anche a causa della vecchia regola per cui topo non
mangia topo. Nonostante le differenze ideologiche, che molto spesso hanno dato
origine a veri e propri scontri, separino le varie fazioni, queste condividono
non solo la brama di potere, ma anche la volontà di impedire all’estremismo
islamico di avanzare in Egitto.
Oltre
questo, va anche messo in conto che gli apparati di cui si servono le varie
fazioni politiche non avrebbero avuto alcun interesse a fare ritrovare il cadavere
martoriato del giovane ricercatore proprio nei giorni in cui si sarebbero
svolti importanti incontri di natura economica tra la delegazione di casa e
quella italiana. Sarebbe convenuto, poi, ancor meno far ritrovare i documenti
della vittima. Gli oltre cinquecento ‘”desparicidos” egiziani dimostrano che
non è difficile fare sparire cadaveri, bruciandoli, buttandone i resti nel
Nilo, o in pasto agli squali del Mar Rosso, o anche nel Mediterraneo. Ancor più
semplice far sparire passaporto, carta di credito e tessera di identità
universitaria.
Ciò dovrebbe
indurre a indirizzare le indagini altrove. Il Governo guidato da Abd al-Fattah
al-Sisi non ha un’opposizione monolitica: la gamma è vasta, dai Fratelli
Mussulmani a forze tendenzialmente modernizzatrici e liberali (sempre nel
contesto che tali aggettivi hanno in Egitto). Regeni pare avesse contatti con
queste forze: i sindacati liberi, il piccolo commercio, alcuni intellettuali.
Non è da escludere che i gruppi più radicali avessero interesse a essere informati
sulla struttura organizzativa delle opposizioni modernizzatici e liberali e
che, a torto o ragione, pensassero che Regeni ne fosse informato. I loro
apparati hanno professionalità di torturatori non inferiori a quelle delle
fazioni governative. Se il torturato muore, il corpo e i documenti possono
essere un’arma per causare imbarazzo al Governo.
A mio
avviso, si dovrebbe indagare anche in questa direzione. Anche se si potrebbe
raggiungere qualche risultato solo se la nostra Rappresentanza al Cairo avesse
almeno una mappa delle varie opposizioni.
L’Italia, nel contempo, non dovrebbe certo
diminuire la pressioni sul Governo egiziano, specialmente nelle varie sedi
internazionali. Il Cairo probabilmente questa mappa ce l’ha, ma più passa il
tempo più è difficile trovarne una prova
Nessun commento:
Posta un commento