OPERA/ Il
“Trittico” di Puccini secondo Michieletto e Rustioni
Pubblicazione: martedì 19 aprile 2016
Foto di Gianni Schicchi
NEWS Musica
Domenica 17 aprile Il Trittico di Giacomo
Puccini è tornato a Roma in un’edizione coprodotta con il Teatro Reale di
Copenhagen e l’an der Wein di Vienna con Daniele Rustioni sul podio, la regia
di Damiano Michielletto e un cast di grandi nomi. Platea, palchi e galleria
affollatissimi; enorme successo di pubblico mentre qualche critico iper
conservatore ha borbottato all’intervallo ed alla conclusione (uno seduto
accanto a me lo ha fatto anche durante la rappresentazione, ignorando le regole
di base di galateo).
Prima di parlare dello spettacolo è utile ricordare
che Puccini pensava a tre opere in un atto – sottolinea Alberto Cantù in L’Universo
di Puccini: da Le Villi a Turandot (Zecchini Editore, (250 pagine, € 20)
sin dopo il successo di Tosca. Allora gli atti unici avevano una certa
presa sul pubblico specialmente se collegati da un fil rouge. Puccini pensò
addirittura a un trittico dantesco su Inferno, Purgatorio e Paradiso.
Sappiamo che alla fine il prodotto fu un atto granguignolesco (Il Tabarro),
una tragedia (Suor Angelica) e una conclusione comica ma noir (Gianni
Schicchi).
Il Trittico venne composto durante la prima guerra
mondiale. A casa Puccini il conflitto mondiale si intercalava con quello
famigliare. Il compositore, con il supporto principalmente di Giovacchino
Forzano (scrittore, poeta, drammaturgo, regista anche cinematografico) e di
Tito Ricordi (nella cui scuderia era tornato) aveva completato Il Trittico
a cui lavorava dal 1913 proprio poche settimane prima di Caporetto e l’epidemia
di febbre gialla. Il figlio Tonio, militare di leva, tornato a casa,
tentò il suicidio (anche per questioni sentimentali). Sua sorella Tomaide morì
per l’epidemia. Sua moglie Elvira intercettò la lettera del console svizzero
che, data la situazione, gli ritirava il visto di accesso a Lugano dove andava
periodicamente (e frequentemente) dalla propria amante dell’epoca Sybil Seligman;
la tresca, quindi, era svelata all’irritatissima Elvira. Con l’Italia nel caos,
era difficile trovare un teatro per mettere in scena Il Trittico, in
effetti tre opere distinte la cui produzione richiede circa solisti ed un
organico orchestrale mahleriano. Il programma era di produrre la prima mondiale
al Teatro Reale dell’Opera di Roma, ma il debutto ebbe luogo il 14 dicembre
1918 al Metropolitan di New York (senza la presenza di Puccini – i mari
non erano sicuri a ragione delle mine lasciate dai tedeschi) con buon successo.
Seguì una trionfale prima italiana a Roma l’11 gennaio 1919, una londinese il
18 giugno 1920 (alla presenza di Re Giorgio), una viennese nell’ottobre 1920 ed
una riprese a Bologna nel 1921. Ogni volta Puccini ritoccò la partitura che ebbe
il suo assetto definitivo alla prima alla Scala il 29 gennaio 1922, dove venne
introdotta, in Suor Angelica, “l’aria dei fiori”, sperimentazione
armonica audace, atonale ed al confine quasi con la dodecafonia.
In qualche modo, pur se non presente né sulla scena né
nella partitura, il conflitto mondiale entrò nel background de Il Trittico.
I tre atti unici, complementari, per contrasto hanno come filo conduttore la
morte, vista in termini sanguigni anzi brutali ne Il Tabarro, in modo
religioso in Suor Angelica ed in maniera tra il grottesco ed il
sarcastico in Gianni Schicchi. Come se il Puccini, con simpatie per gli
Imperi Centrali anche dopo la loro sconfitta (basti pensare alla cura per la
prima viennese, in tedesco, del 1920), non rimuovesse del tutto l’inutile
strage e non ne restasse insensibile. È palese, principalmente nel finale di Gianni
Schicchi, e quindi, dell’intero Trittico, la lode alla “gente nova”
un sentimento di adesione a un ordine che in Italia si sarebbe concretato ben
presto. Secondo lo stesso Dizionario Enciclopedico degli Italiani,
Forzano (1884-1970) fu uno degli autori e registi più apprezzati nel periodo
tra le due guerre mondiali e fece fede della sua adesione al fascismo anche in
libri di memorie degli Anni Cinquanta
Ciò spiega la regia di Michieletto di
ambientazione contemporanea : rispecchia questo clima cupo e si differenzia da
altre edizioni recenti che puntavano più su un finale solare in Gianni
Schicchi. In effetti, Michieletto ed il direttore musicale e maestro
concertatore Daniele Rustioni vanno ancora più oltre: nella produzione, Il
Trittico non è più composto da tre opere ma da una unica sola, con un
unico intervallo dopo la prima parte (che comprende, senza soluzione di
continuità, Il Tabarro e Suor Angelica) e
incentrando suGianni Schicchi la seconda parte. Ad una visione
violenta dell’omicidio ed ad una straziante del suicidio, quindi, ne
segue, dopo una pausa di quaranta minuti, una grottesca della morte.
Anche la scena è unica: una serie di container che ne Il Tabarro sono
nella banchina di un porto, in Suor Angelica diventano una
prigione e in Gianni Schicchi , ricoperti da tele con i colori
ed i segni di Firenze, si trasformano nell’interno di una casa a più piani. Il
nesso viene accentuato in quanto in ognuno dei tre momenti è centrale un
bambino: il figlio morto di Michele e Giorgetta in Il
Tabarro e della protagonista in Suor Angelica ed un
discolo tra i parenti di Buoso Donati in Gianni Schicchi
Tale ambientazione e suddivisione non è un vezzo
scenico- registico. In effetti, grazie alla direzione musicale di Rustioni , è
finalizzata a mostrare i nessi tra il Puccini di quel periodo con
l’espressionismo, specialmente con l’espressionismo musicale della seconda
scuola di Vienna e dell’Impero Tedesco, di cui era attento osservatore. E’
questo un aspetto poco studiato del lavoro del compositore lucchese: questa
versione de Il Trittico dimostra che merita approfondimento.
Rustioni , con la sua concertazione attenta alle sfumature, fornisce un ottimo
appiglio. Come sempre nelle regie di Michieletto, la recitazione è molto
attenta e precisa.
Puccini chiede molto alle voci. E ne Il
Trittico più che in altri lavori, se non altro perché ci sono oltre
trenta personaggi, suddivisi tra una ventina di interpreti, ed una gamma di
stili che va dallo Sprechgesang (altro nesso con
l’espressionismo) alla polifonia, passando per le arie ed i duetti della
consuetudine operistica italiana. Nello spazio di una recensione è impossibile
commentare anche solo su un campione dei numerosi cantanti.
Tra le voci femminili . di particolare nota Patricia
Racette, una star del Metropolitan al suo debutto in Italia nel doppio ruolo di
Giorgetta ne Il Tabarro e di Suor Angelica (una
vocalità al tempo stesso duttile e spessa con tutte le caratteristiche per
trionfare in Puccini) e Violetta Urmana (la Principessa Zia in Suor
Angelica)che con grande maestria ha completato la transizione da soprano
drammatico (la ricordiamo ancora , proprio a Roma, come magnifica Isolde nell’opera
wagneriana) a mezzo soprano con la capacità di raggiungere i registri bassi di
un contralto. Tra quelle maschili, spiccano Roberto Frontali (Michele ne Il
Tabarro e Gianni Schicchi nell’opera eponima) e Maxim Aksenov (Luigi
ne Il Tabarro). Avrei preferito, in Gianni Schicchi, un
Rinuccio più lirico e più morbido; spero che nel giro di pochi anni,
affrontando parti troppo spesse, Antonio Poli non abbia perso queste
caratteristiche.
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