Che cosa combineranno Inps e
governo sulle pensioni
Il corsivo
dell'economista Giuseppe Pennisi
Con le loro
dichiarazioni, sia in Parlamento che al Convegno “Previdenza ed Economia
Reale”, tanto il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan
sia il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti,
hanno riaperto il tavolo della riforma della previdenza. Si è subito inserito
il Presidente dell’Inps, Tito Boeri, con una delle sue ormai
consuete frasi ad effetto e di immediata presa mediatica, in base alla quale i
trentacinquenni di oggi, a regole immutate, andrebbero in quiescenza a 75 anni.
Ma è proprio
Boeri che rischia di non essere invitato al tavolo. Afferma di avere accettato
la carica di Presidente dell’Inps nell’assunto che l’istituto potesse avere un
ruolo propositivo. Ma in vari ambienti di Governo e Parlamento si pensa che sia
un po’ troppo propositivo (parte delle sue proposte vengono smentite nella loro
fattibilità dai suoi stessi collaboratori quando chiamati in audizioni in sedi
istituzionali) e troppo poco incisivo sul funzionamento dell’Inps, specialmente
in questa fase di aggregazione di altri istituti come Inpdap ed Enpals.
Non solo i
pensionati protestano perché non riescono ad accedere ai documenti per far
fronte ai loro obblighi tributari, ma la “irresistibile ascesa” dei “residui
attivi” mostrano un ente il cui ispettorato e la cui avvocatura paiono allo
sfascio (dato che non riescono a far incassare i versamenti dovuti) . Il
Ministro vigilante Poletti ha più volte preso le distanze dalle proposte del
Presidente dell’Inps e un altro bocconiano, l’economista Tommaso Nannicini,
sottosegretario alla presenza del Consiglio, non sembra disposto a spendersi
per il suo collega di facoltà. In effetti, si pensi al ruolo di Gianni Billia
nella riforma del 1995 – i Presidenti dell’Inps sono stati tanto più efficaci
quanto più hanno distillato i loro consigli in estrema discrezione, mostrando,
al tempo stesso, grande attenzione al funzionamento della “fabbrica delle
pensioni”. Comunque, se Boeri verrà o non verrà invitato al tavolo della
riforma è materia che interessa principalmente lui.
Prima di
decidere chi verrà chiamato a collaborare alla prossima riforma, il Governo
deve scogliere il nodo essenziale di politica previdenziale: se fare interventi
al margine, come nelle sette riforme varate in Italia negli ultimi vent’anni,
oppure concepire interamente un nuovo sistema sulla base non scenari non
prevedibili nel 1995, quando Italia e Svezia (nonché i Paesi che a esse si sono
ispirati) sono passati da metodi di calcolo (per le prestazioni) basati sulle
retribuzioni percepite a quelli basati sui contributi versati e sono nel lungo
periodo, in una posizione migliore di molti altri Paesi europei.
E’ difficile
pensare che si possa concepire un nuovo sistema senza l’apporto dei gruppi
intermedi e delle parti sociali, guardando a quello che saranno l’economia
italiana e il mercato del lavoro del futuro.
23/04/2016
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