Il cantiere del Patto di
Stabilità visto da Einaudi e Keynes
Il commento
dell'economista Giuseppe Pennisi
Il governo
italiano ha gettato il sasso nello stagno europeo e la risposta è stata
positiva: il Patto di stabilità ha detto, il ministro dell’Economia e delle
Finanze, Pier Carlo Padoan, è “complicato, poco trasparente e
flessibile e si adatta male all’economia che cambia“. Questo giudizio è
stato condiviso dai 28 ministri delle Finanze dell’Unione Europea (UE) nel
corso dell’ultima sessione dell’Ecofin.
L’Italia ed
altri sette Stati dell’UE puntano a correggere uno dei parametri chiave del
Patto, l’ “output gap”, l’indicatore sulla base del quale vengono valutate le
correzioni di bilancio se i Paesi si allontanano dagli obiettivi europei. I
sette Stati hanno formulato proposte specifiche in materia ma ci vorrà ancora
tempo per capire se tali proposte verranno condivise, ed in che misura, dal
resto dell’EU. Si è , però, aperto un cantiere che potrebbe portare alla
revisione del Patto. Tale cantiere lavorerà in parallelo con le
discussioni in atto sulla politica monetaria della Banca centrale europea (Bce)
che sono esplose in occasione dell’ultima riunione dell’organo di governo
dell’istituto il 21 aprile.
Cosa ne
avrebbero pensato economisti come Einaudi e Keynes? Pare una
domanda peregrina. Tuttavia, sul presente e sul futuro della politica economica
europea si stanno confrontando due visioni dell’economia, anzi, del mondo che
hanno le proprie radici proprio nelle differenze tra i due grandi economisti
del secolo scorso. Una essenzialmente micro-economica basata sui comportamenti
effettivi degli agenti economici (individui, imprese, Stato e via dicendo) e
della loro risposta ad incentivi; ed una, invece, basata sul primato della macroeconomia
e dell’umanità idealizzata ed astratta che essa sotto-intende.
Si può
trarne una risposta dall’ultimo libro di Francesco Forte Enaudi
versus Keynes (IBLibri, Torino pp.342 , € 20), un saggio che ha comportato
all’autore sei anni di lavoro. Forte (classe 1921) è stato chiamato nel 1961
alla cattedra tenuta da Einaudi all’Università di Torino. E’ stato più
volte componente di Governi, nonché editorialista di numerose testate. E’ un
liberale “delle regole” al pari di Einaudi , nonché un europeista convinto – è
stato anche ministro per il Coordinamento delle politiche comunitarie. In
questo contesto, acquista un valore particolare il vasto capitolo quinto del
saggio , intitolato “la terza via di Einaudi per l’Unione Europea, fra la
politica fiscale e monetaria keynesiana e quella anti-keynesiana“. Nel
capitolo vengono esaminati in dettaglio i “principi”, “le regole” e le “prassi”
dell’ “economia sociale di mercato”, alla base, sotto molti aspetti, dei
Trattati fondanti dell’UE, dal Trattato di Roma a quelli successivi. Viene
anche analizzata l’unione monetaria sia nei suoi Trattati istitutivi sia nelle
revisioni , tramite accordi inter-governativi, dell’ultimo decennio, quali la
creazione dei vari fondi Salva Stati , i salvataggi della Repubblica ellenica e
le varie forme di quantitative easing adottate dalla Banca centrale europea
(Bce). Sottolinea il nodo centrale con cui si scontra oggi anche il cantiere
del Patto di Stabilità: “Il Trattato di Maastricht non prevede alcun
organo deliberativo , lasciando supporre che esso sia il Consiglio Europeo, che
è composto dai Capi di Stato e di Governo dell’UE, che delibera a maggioranza
qualificata. Ma di fatto gli Stati dell’UE che non fanno parte dell’unione
monetaria non avevano titolo per partecipare alle delibere che riguardano i
programmi di aggiustamento dell’unione monetaria“. Si è tentato di riparare
a questo difetto facendo deliberare gli Stati membri dell’unione monetaria, un
organo di fatto, con la regola dell’unanimità. Keynes – si legge in
varie parti del saggio – sarebbe arrivato a conclusioni analoghe. Quindi,
occorrerebbe, sulla base dell’esperienza dell’ultimo quarto di secolo,
rimettere mano al Trattato di Maastricht, prima che al Patto di Stabilità, per
dare un organo deliberante, a maggioranza qualificata, all’unione monetaria e
renderne possibile adattamenti.
C’è un altro
punto del saggio che riguarda da presso il cantiere delle eventuali modifiche
del Patto di Stabilità: il fardello del debito pubblico. “Sia secondo il
modello di Keynes , basato sulla domanda globale, che secondo Einaudi , basato
sul funzionamento del mercato, un Paese con un elevato debito pubblico – che ha
realizzato il consolidamento del bilancio pubblico mediante l’aumento delle
imposte e non mediante il taglio delle spese pubbliche – può cadere in una
situazione di avvitamento in cui decresce il Pil e quindi occorre ancora
aumentare i tributi o finalmente tagliare le spese“.
L’indicazione
per il cantiere è chiara: sia Einaudi sia Keynes avrebbero pensato che
eventuali revisioni del Patto di Stabilità non sarebbero dovute essere alibi
per ritardare la definizione e la messa in atto di una politica di riduzione
del debito pubblico tramite una serie revisione della spesa pubblica, mirata a
restringerne il perimetro.
Si sono presi
solo alcuni spunti dal lavoro di Forte, che merita di essere letto non
solamente da coloro impegnati nel cantiere del Patto di Stabilità, o dagli
economisti ma da coloro che un tempo venivano chiamate ‘persone colte’. E’,
infatti, un ottimo strumento per comprendere due filosofie economiche che
ancora oggi si confrontano.
27/04/2016
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