CONSIGLI NON RICHIESTI/ La
"scaletta" pronta per il Def
Pubblicazione:
lunedì 4 aprile 2016
Pier Carlo Padoan (Infophoto)
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NEWS Economia e Finanza
È venuto il
momento di tirare le somme e fare programmi per il futuro. Aprile porta con la
primavera due acronimi ormai entrati nella galassia delle sigle: il Def
(Documento di economia e finanza) e il Pnr (Programma nazionale di riforme). Un
tempo si trattava di un documento unico “La relazione previsionale e
programmatica” che veniva approvata il 30 settembre unitamente al disegno di
legge finanziaria. Ora il semestre europeo comporta un grado di
parallelismo tra i testi programmatici di quasi tutti i Paesi dell’Unione
europea e un esame quasi congiunto del consolidamento di finanza pubblica e dei
programmi degli Stati membri per il perseguimento degli obiettivi a medio
termine e dell’Ue e dei singoli Stati.
Sotto il
profilo economico, il consuntivo non è tale da indurre a stappare bottiglie di
champagne. I più recenti dati Istat indicano che dopo una tremula ripresa si è
ancora sulle soglie di una recessione che potrebbe diventare deflazione di
lungo periodo o della “stagnazione secolare” di cui gli economisti hanno
ripreso parlare. Sono particolarmente preoccupanti i dati sui prezzi al consumo
che nel breve termine (su base mensile) segnano un impercettibile aumento
(0,2%), ma se raffrontati a 12 mesi fa mostrano una contrazione. Ciò vuol dire
che in attesa di ulteriori ribassi, i consumatori e gli investitori ritardano
le loro decisioni, tanto più che dopo circa dieci “anni difficili” i redditi
familiari si sono ridotti e gli imprenditori faticano a mantenere in funzione
gli impianti delle loro aziende e non ne programmano ampliamenti.
E su questo
quadro cupo che si stagliano Def e Pnr. Non lo si deve imputare unicamente al
quadro mondiale: nell’eurozona in termini dei principali indicatori siamo i
penultimi della classe, superati in negativo unicamente dalla Grecia. Questo
esito deludente non è da attribuirsi interamente al Governo. Non è stato il
solo a peccare di ottimismo: negli ultimi 14 anni (secondo un’analisi del
Centro Studi Impresa Lavoro) ben 11 volte è stata sovrastimato l’andamento
dell’economia reale (con le conseguenza di finanza pubblica che si possono
immaginare). Indubbiamente, tuttavia, ha influito l’avere dato la priorità alle
riforme istituzionali che sempre e comunque comportano un rallentamento dell’economia
stimato mediamente in cinque anni (per l’esigenza di metabolizzare le nuove
regole). Occorre una sferzata a favore delle riforme economiche e sociali.
In primo
luogo, è essenziale il consolidamento della finanza pubblica con una riduzione
sia in termini assoluti, sia in rapporto al Pil tanto della spesa di parte
corrente delle pubbliche amministrazioni quanto dello stock di debito pubblico.
Per quanto attiene al debito pubblico non sono mancati i suggerimenti (dalla
conversione della rendita, all’accelerazione delle privatizzazioni, al
disboscamento del “capitalismo regionale e municipale” dove pullulano le
partecipate inutili). Ciò comporta, specialmente per la spesa pubblica di parte
corrente, una spending review basata su elevati standard internazionali
derivanti a loro volta da una teoria economica forte.
Ciò implica
anche un rilancio della spesa pubblica in conto capitale, ancorata anch’essa a
elevati standard internazionali derivanti a loro volta da una teoria economica
forte. L’obiettivo dovrebbe essere quello di un drastico ridimensionamento
della sfera pubblica (centrale, regionale e comunale); unitamente a una forte
dose di liberalizzazioni potrebbe permettere una riduzione della pressione e
oppressione tributaria e una ripresa della produttività che ristagna da oltre
tre lustri.
In secondo
luogo, le riforme devono essere mirate al miglioramento dell’economia reale e a
una miglior redistribuzione dei redditi. Ciò comporta una ripresa se non della
concertazione almeno del dialogo con le parti sociali nel plasmare le strategie
settoriali e i singoli provvedimenti. Mai come ora è urgente una sede per tale
dialogo con il quale affrontare singole riforme, come ad esempio quella della
previdenza per porla in linea con le caratteristiche di un mercato del lavoro
molto differente rispetto a quello del passato.
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