Come sarà (forse) il Def
Il commento
dell'economista Giuseppe Pennisi
L’8 aprile,
il Consiglio dei Ministri esaminerà il Documento di Economia e Finanza
(DEF), quadro concettuale e preludio della Legge di Stabilità che verrà
varata il prossimo settembre.
Cosa
aspettarsi? In primo luogo, speriamo che questo sia uno dei rari anni in cui le
previsioni econometriche del governo non vengano smentite da una realtà
effettuale delle cose meno positiva di stime rivelatesi in undici degli ultimi
quattordici anni troppo ottimistiche. Le previsioni non sono mai infallibili ma
sarebbe giudizioso, prima di pubblicarle e di costruire su di esse una manovra
di finanza pubblica, confrontarle con quelle del gruppo del consenso (i venti
maggiori istituti econometrici-previsionali, tutti privati nessuno italiano)
che ogni mese aggiornano le loro stime. Ciascun istituto, inoltre, contiene
“analisi di rischio” e fornisce, per ogni Paese, una forcella di previsioni ed un
semplice calcolo di probabilità. Ne risulta un approccio eloquente per il
Parlamento, per le forze economico sociali e per i cittadini.
Sarebbe poi
auspicabile che il DEF e la successive Legge di Stabilità includano, come
previsto nella riforma effettuata alla fine degli Anni Ottanta, unicamente i
grandi aggregati: disavanzo, debito, principali misure di politica economica e
finanziaria. In tal modo, si eviterebbero norme smisurate (le ultime due Leggi
di Stabilità superavano le 500 pagine mentre ne sarebbero dovute essere non più
di 3) tipo albero di Natale con provvedimenti, a ragione o a torto,
particolaristici e tali da suscitare emendamenti anche essi, a ragione o a
torto, dal sapore particolaristico. L’azione di Governo sarebbe meglio diretta
verso gli obiettivi essenziali.
Quali
potrebbero essere tali obiettivi essenziali? Due corrispondono al principio
rawlsiano (dal nome del filosofo di Baltimora che negli anni Settanta
rivoluzionò la teoria della giustizia) di obiettivi primari, ossia di obiettivi
che ciascun italiano raziocinante considera essenziali e prioritari: la
crescita e la famiglia.
La crescita
include la riduzione del debito, l’aumento della produttività, il rilancio
dell’occupazione, una maggiore equità. A sua volta ciò vuol dire una spending
review permanente e basata sulle migliori prassi internazionali, nonché
fondata su una forte teoria economica, uscendo da operazioni occasionali
necessariamente di breve respiro. Ciò vuole anche dire maggiore concorrenza in
tutti i mercati al fine di incoraggiare le vere eccellenze del Paese. Ciò
significa mirare non ad incrementi dell’impiego stimolati da misure a breve
termine, ma a buona occupazione di lungo periodo in imprese competitive su
piano internazionale. Ciò infine richiedere rimettere in modo quell’ascensore
sociale che sembra essersi inceppato.
Porre la
famiglia come obiettivo centrale dell’azione di Governo significa non solo
incoraggiare, nei limiti del possibile, la demografia nel senso giusto,
rallentando, quanto meno, il processo d’invecchiamento della società italiana.
Anche in questo caso, però, occorre una linea d’azione coerente che parte dalla
normativa tributaria ed includa asili nido, scuole a tempo pieno,
conciliazione per i genitori tra lavoro ed impiego, utilizzando le possibilità
offerte dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione e
respingendo azioni occasionali di breve periodo e di impatto mediatico.
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