Terry Gilliam va all’opera. Ma
senza troppa fantasia
Se ad allestire un’opera c’è un nome come quello di
Terry Gilliam, è normale che ci si aspetti una gran fantasia. E invece a Roma è
andata in scena una delusione. Vi raccontiamo perché.
Benvenuto
Cellini – regia di Terry Gilliam – photo ®Yasuko Kageyama – Opera di Roma
BERLIOZ A
VILLA MEDICI
Il 22 marzo è sbarcato a Roma Benvenuto Cellini di Hector Berlioz.
Opera “romana” per eccellenza (tutti conoscono il “carnevale romano” del
secondo atto, poiché spesso eseguito in programmi concertistici), è solamente
la seconda volta che appare sul palcoscenico della Capitale. Molte attese per
l’allestimento di Terry Gilliam, unico membro americano dei Monty Python
e principale autore-animatore di cartoni animati surreali. Le scene di Rae
Smith sono ispirate alle stampe di Piranesi e i costumi di Katrina
Lindsay sono atemporali e sgargianti. Dirige Roberto Abbado.
Al pari di altri lavori di Berlioz per il teatro in musica, Benvenuto Cellini
è un’opera “maledetta”. Berlioz venne senza dubbio influenzato dal suo
soggiorno a Villa Medici come vincitore del prestigioso Prix de Rome e
dalla lettura dell’autobiografia dell’artista rinascimentale. Un’autobiografia
metabolizzata in modo molto personale: Berlioz si riconosceva in Cellini in
quanto artista unico in un mondo in cui soltanto pochi lo comprendevano, ma
iniettava una buona dose di autoironia nei confronti sia di Cellini sia del
contorno – dalla burocrazia vaticana ai sicofanti e questuanti che la
circondavano, al Papa in persona.
(S)FORTUNA
CRITICA DELL’OPERA
Venne progettata inizialmente come grand opéra in cinque atti, poi come opéra
comique in due atti con parti recitate e numeri musicali, ma debuttò infine
il 10 settembre del 1838 come opéra lyrique pura e semplice e tonfò
miseramente (pare anche a ragione dell’inadeguatezza degli interpreti). Venne
riesumata da Listz per il Teatro di Weimar.
Poche le riprese nell’Ottocento: in boemo a Praga, in tedesco a Berlino,
Strasburgo, Vienna, Zurigo. Riappare in francese nel 1913 per l’inaugurazione
del Théâtre de Champs-Elysées, ma occorre aspettare sino agli Anni Sessanta
perché ricominci a circolare, spesso in versione da concerto. In Italia si
contano soltanto tre edizioni sceniche: alla Scala nel 1976 (importata da
Covent Garden), a Firenze nel 1987 e a Roma nel 1995.
Inoltre, solo di recente si dispone di un’edizione critica, a cura dell’editore
Bärenreiter, della versione che venne rappresentata a Parigi nel 1838 (la più
vicina alle intenzioni di Berlioz). Ci sono, poi, enormi difficoltà di
allestimento: un organico orchestrale vastissimo, numerosi solisti, un coro con
ruolo primario, danze e mimi.
Benvenuto
Cellini – regia di Terry Gilliam – photo ®Yasuko Kageyama – Opera di Roma
QUANDO ALLA
REGIA C’ERA GIGI PROIETTI
Benvenuto Cellini richiede un organico orchestrale enorme, dieci solisti,
due cori, ballerini, mimi. Le difficoltà sceniche e vocali imposero nel gennaio
1995 a Roma (regia di Gigi Proietti, scene e costumi di Quirino Conti)
di dividere il lavoro in quattro atti, con tre intervalli. Rendendo la serata
di proporzioni wagneriane: l’opera iniziava alle 19 e terminava dopo la
mezzanotte. Era un’edizione di grande eleganza decisamente ambientata nella
Roma rinascimentale di Clemente VII, con riproduzioni puntuali dei Sacri
Palazzi Apostolici, piazza Colonna, i borghi dove c’è l’atelier dello scultore
all’interno del Colosseo.
Molto differente l’allestimento che ha debuttato a Salisburgo nel 2007 e che si
è visto anche a San Pietroburgo e a Parigi. L’allestimento è stato progettato
per il tenore americano Neil Shicoff, idolo dell’Opera di Vienna, tanto
che, suscitando non poche polemiche, il Cancelliere austriaco avrebbe voluto
chiamarlo alla Sovrintendenza. Il tenore, però, si è ammalato ed è stato
sostituito dal giovane, e valente, Fritz Burkhard.
GAY E TRAVET
Regia e scene sono state affidate Philipp Stőlzl, noto soprattutto per i
videoclip di Madonna e Mick Jagger. Quindi non c’è alcuna Roma rinascimentale
di cartapesta come nel memorabile allestimento romano di Proietti-Conti, ma
siamo in un mondo tra la Metropolis di Fritz Lang e le fantasie
disneyane dei tempi di Biancavene e i sette nani. Non manca un pizzico
di Mago di Oz. Cellini viaggia in elicottero e Papa Clemente VII in
coupé d’epoca violetta, accompagnato da prelati e guardie svizzere che si
muovono come caricature gay. Il tesoriere dello Stato Pontificio è un
ragioniere generale da operetta. Fieramosca un travet in mezze maniche.
Ascanio, il braccio destro di Cellini, un robot che canta la grande aria Mais
qu’ai-je donc con la testa staccata dal resto del corpo. E via discorrendo.
L’appartamento del tesoriere ha un’enorme terrazza da cui si ammirano
grattacieli, dischi volanti, aeromobili di vario tipo e fuochi d’artificio come
se si fosse alla festa di Piedigrotta. Piazza Colonna (dove avviene la scena
centrale del carnevale) sembra tratta da un film dell’espressionismo tedesco
Anni Venti; è attraversata da treni metropolitani a più livelli, mentre si
svolge il teatro nel teatro, la sommossa, il duello e quant’altro. Il Colosseo
è un’enorme fucina postmoderna dove non mancano fuoco e scintille.
Secondo alcuni critici, questo allestimento avrebbe estasiato Berlioz.
Indubbiamente, viene accentuato il “comique” Ma c’è già tanta ironia in Berlioz
e nei suoi librettisti (nei confronti del potere, della burocrazia e della
stessa idea iper-romantica dell’eroismo) che le trovate di Stőlzl e dei suoi
collaboratori non solo sono eccessive ma distolgono da un ironico che tanto più
morde quanto più è delicato
Benvenuto
Cellini – regia di Terry Gilliam – photo ®Yasuko Kageyama – Opera di Roma
TUTTO BENE,
FORSE TROPPO
Nelle mani di Gilliam, l’opera non è più datata nella Roma rinascimentale ma
diventa una parabola del “genio e sregolatezza” dell’artista. Un’introspezione
autobiografica, anche se surreale, non necessita un apparato monumentale. In
effetti, la scena è un contenitore unico, ispirato alle stampe di Piranesi, integrato
da diapositive e attrezzeria. L’azione (secondo le indicazioni dei costumi) è
spostato alla fine della prima metà dell’Ottocento, ossia all’epoca della prima
assoluta.
Nella scena del Carnevale l’intero teatro è coinvolto con sfilate di maschere in
platea e coriandoli lanciati dai palchi. Grande attenzione alla recitazione,
che è perfetta, e ai movimenti delle masse corali, anch’essi ineccepibili. Per
sveltire gli aspetti teatrali, interrotti da un unico intervallo, alla
partitura viene operato qualche piccolo taglio, di cui si possono essere
accorti unicamente gli specialisti e che, in ogni caso, giovano anche agli
aspetti musicali (liberandoli di ridondanze).
In breve, Gilliam e la sua squadra fanno sì che ambiente, colori, tinte non
siano unicamente o principalmente sfondo, ma diventino uno dei protagonisti
dell’opera. Ci si aspettava però maggiore fantasia e uno spirito più
dissacrante.
Giuseppe
Pennisi