Il Barbiere di Siviglia e il vizio di voler "aggiornare" Rossini
Giuseppe Pennisi
venerdì 20 aprile 2012
Un momento de “Il Barbiere di Siviglia”
Approfondisci
OPERA/ Stiffelio, il capolavoro "trascurato" di Giuseppe Verdi
MAGGIO FIORENTINO/ Il Festival sta per sbocciare: sarà vera "svolta"?
Quando nel lontano 1972, Claudio Abbado e Jean–Pierre Ponnelle presentarono alla Scala un’edizione “storica” del rossiniano “Il Barbiere di Siviglia” che si può ancora ammirare in dvd, non toccarono una virgola e una nota del libretto e si dotarono di un cast stellare (Prey, Berganza, Alva, Dara, Montarsolo). “Il Barbiere” – una delle quattro maggiori commedie in musica del diciannovesimo secolo – è una macchina perfetta: basta avere ingredienti buoni e freschi perché funzioni alla perfezione..
Ricordiamo brevemente la trama della pièce di Beaumarchais: Bartolo, medico di una certa età, vuole impalmare la giovane, bella e ricca Rosina di cui è tutore ossia, rifacendoci al clima dell’epoca, protettore-amante da qualche tempo. Il desiderio di convolare a nozze non è tanto di carpirne una cospicua eredità (non se ne parla mai) ma perché vede giovanotti di bella presenza, e pure con il portafoglio pieno, ronzare attorno alla ragazza con l’intenzione di portargliela via. In effetti, la fanciulla ha messo gli occhi su un attraente studente (si dichiara tale, ma è un contino donnaiolo di chiara fama).
Con l’aiuto di un barbiere tuttofare (Figaro), specialmente se c’è denaro in vista, il giovanotto assume varie vesti (i panni di militare e di prete insegnante di musica) per entrare nella barricatissima abitazione di Bartolo, corteggiare la ragazza e sposarla, per poi tentare di tradirla con la cameriera (come si vede nella seconda puntata della trilogia). Ma finendo per essere beffato dalle due donne. In breve sono tutti “cattivi”, ma Rossini li guarda con brio, quasi prendendoli in giro.
A fine Settecento, la pièce di Beaumarchais aveva una certa carica rivoluzionaria: il “Terzo stato” (Figaro) metteva ordine nei pasticci di clero, aristocrazia decadente e borghesia emergente. Messa in musica dall’anziano Giovanni Paisiello, diventò un’elegante e delicata commedia sentimentale. Pochi anni più tardi, al giovane Gioacchino Rossini venne chiesto di musicarla nell’arco di una settimana.
Nelle mani di Rossini, “teocon” davvero reazionario ma bonvivant e pieno di amanti già a 24 anni, diventò frizzante come il lambrusco e brillante come la cucina romagnola, dove il Cigno di Pesaro trascorse la sua infanzia girovaga. Riconosciuta come una delle quattro maggiori commedie in musica dell’Ottocento, “Il Barbiere” continuò ad avere strepitoso successo anche quando imperversava il melodramma verdiano e quasi tutti i lavori rossiniani erano finiti nel dimenticatoio. Tanto da essere ancora oggi una delle opere del pesarese più frequentemente rappresentate.
Da qualche tempo, si usa metter mano al capolavoro con ambizioni sbagliate e risultati deludenti. A Roma, il direttore d’orchestra si trasformò anche in regista, anzi “capocomico”, rendendo la commedia una farsa e interrompendola per dialogare con gli spettatori . Un paio di anni fa, il Teatro Massimo di Palermo ha presentato un “Barbiere di Siviglia” con una lettura in cui Figaro visto veniva come un “precario” in una Siviglia in cui tutti hanno un ruolo ben definito: Almaviva quello del ricco spasimante, Rosina quello dell’innamorata avvinghiata da lacci e lacciuoli relativi alla propria condizione sociale, Bartolo quello del burbero a caccia di fanciulle e doti, Basilio quello dell’Azzeccagarbugli pronto a farsi convincere con una manciata di denaro.
Al Regio di Parma, poco più di un anno fa, Figaro ere ancora una volta un “precario” che mette le sue doti al servizio dei potenti sia al tramonto (Don Bartolo, Don Basilio) sia emergenti (il giovane Conte d’Almaviva e, soprattutto, la pepata Rosina). Cerca, come tutti i “precari”, un posto fisso. E lo otterrà. Al servizio di Almaviva che, come sapremo dal prosieguo della vicenda, tenterà di portare nel proprio letto la sua fidanzata, restandone però scornato di fronte all’universo mondo. Nell’allestimento di Parma non c’ere la vis polemica presente in quello palermitano, ma si perdeva l’inimitabile “brio” rossiniano.
Lascia a bocca asciutta l'attesissimo nuovo allestimento che ha debuttato a Roma (dove resta in scena al 26 aprile) e che successivamente andrà a Trieste.
La regia affidata a Ruggero Cappuccio ha due innovazioni: a) il ventiquattrenne Rossini è in scena e l’opera è l’immaginazione dell’autore mentre la compone; b) non è una commedia farsesca, ma un apologo della rivoluzione dei giovani contro gli anziani in una Siviglia stilizzata e onirica. Il primo punto resta irrisolto. Suggestivo il secondo, marcato dalle differenze dei colori dei costumi (bianchi e crema per i due giovani, sgargianti - come quelli delle statuette di Capodimonte - per gli altri) ma il palcoscenico è troppo affollato da mimi e giocolieri da far comprendere l’apologo a tutti gli spettatori.
Sotto il profilo musicale, corretta ma fiacca la concertazione di Bruno Campanella. Di alta qualità il cast: giovane e in grado di recitare, e anche di danzare con efficacia. Con Paolo Bordogna (Bartolo), Alessandro Luogo (Figaro), Nicola Ulivieri (Basilio) e Laura Clerici (Berta) si va sul sicuro.
Nella prima parte spiccano Juan Francisco Gatell (Almaviva) per la vocalità chiara e l’agilità e soprattutto Annalisa Stroppa per il timbro scuro e la coloratura. Meno brillante nella seconda parte, Gatell scansa la difficile aria Cessa di più resistere, decurtando il finale. E lasciando questo“Barbiere” in mezzo al guado. Da augurare correzioni di tiro nelle numerose repliche prima dell’approdo al Teatro Verdi di Trieste.
© Riproduzione Riservata.
________________________________________
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento