lunedì 23 aprile 2012
Da Il Velino 23 aprile
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OPERA, A SALISBURGO TUTTI MATTI PER CLEOPATRA
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Roma - Per il Festival di Pentecoste di Salisburgo (25-28 maggio) è corsa all’accaparramento di biglietti; il mezzo soprano italiano Cecilia Bartoli ha preso il testimone da Riccardo Muti e dopo cinque anni in cui la manifestazione è stata dedicata alla scuola napoletana, il tema di quest’anno è Cleopatra. Viene presentata una nuova grandiosa edizione di “Giulio Cesare in Egitto” di Händel (che verrà ripresa in agosto nel festival estivo). Questa barocca “Cleopatra raffinata” (replicata due volte) viene accompagnata da una “Cleopatra amorosa”: la versione integrale in traduzione tedesca del rinascimentale “Antony and Cleopatra” di Shakespeare. A queste due proposte teatrali vengono affiancati quattro concerti: “Cleopatra sensuale” (la versione in forma di concerto dell’opera di Massenet concertata da Vladimir Fedoseyev e con un cast stellare, da Sophie Kock a Ludovic Tézier); “Cleopatra tragica” su musiche di Schumann, Berlioz e Brahms, interpretate da Vesselina Kasarova e Piotr Beczala con Sir Eliot Gardiner alla guida dell’orchestra; “Cleopatra orientale” con musiche di Rubistein, Shchedrin , Gounod, Prokofiev e Massenet interpretate da Anna Netrebko, Alexei Tanovitski e l’orchestra del Mariinski concertata da Valery Gergiev. In programma, anche un vero banchetto egiziano nel grand foyer dedicato a Karl Böhm.
Il piatto più gustoso e l’opera di Händel. In primo luogo, la durata: l’integrale di “Giulio Cesare in Egitto” sfiora i 250 minuti. In secondo luogo, la tessitura: quando i lavori di Händel per il teatro ricominciarono ad apparire (in sostanza nella seconda metà del Novecento dopo alcuni tentativi sperimentali all’inizio del secolo), dato che i principali ruoli maschili erano stati scritti per castrati, non c’è altra scelta che abbassarli di qualche ottava per affidarli a baritoni (o anche a bassi-baritoni) oppure, come si fa adesso, utilizzare mezzo-soprani o contralti. Nell’edizione in programma a Salisburgo si fa ricorso a Andreas Scholl, uno dei rari controtenori al mondo per il ruolo di Giulio Cesare, Cecilia Bartoli sarà Cleopatra, Anna Sophie von Otter, Cornelia. Il cast internazionale si presenta tutto di alto livello. Inoltre l’orchestrazione era stata concepita per strumenti d’epoca, in pratica introvabili e le arie erano ripetitive (articolate, spesso, su due “da capo”). Infine, gli allestimenti erano difficili e onerosi poiché prevedevano frequenti cambiamenti di scena (in epoca barocca risolti tramite siparietti dipinti e complessi macchinari). A Salisburgo, Giovanni Antonini concerterà con il complesso da lui creato “Il Giardino Armonico” che suonerà con strumenti il più simile possibile a quelli dell’epoca barocca. Regia, scene, costumi, luci e coreografia sono affidati a a Moshe Leiser, Patrice Caurier, Christian Fenouillet, Agostino Calvava, Christophe Forey, Konrad Kuhn e Beate Vollack. Un vero team internazionale.
Occorre ricordare che l’edizione che rilanciò il “Giulio Cesare in Egitto” in tempi moderni fu il risultato di alcuni testardi - Beverly Sills, Norman Triegle, Julius Ruidel, Tito Capobianco e Ming Cho Lee - in un teatro allora secondario, la New York City Opera (fratello molto minore del Metropolitan che lo fiancheggia al Lincoln Center). Nel 1966, Ruidel non aveva alcuna ambizione filologica: tagliò a destra e a manca; Capobianco (regia) e Ming Cho Lee si ispirarono al bianco e nero di Piranesi, Cesare era incarnato dal miglior basso-baritono su piazza (Triegle) e le seduzioni di Cleopatra affidate alla Sills. L’edizione ebbe in enorme successo; fu portata in tournée attraverso gli Usa e reggeva ancora bene alla metà degli anni Settanta quando la compagnia visitò il Kennedy Center di Washington dove chi scrive ebbe modo di vederlo. Il rilancio europeo ebbe luogo a Monaco di Baviera, sempre con un basso baritono (Fischer-Dieskau) come protagonista, l’affascinante Tatiana Troyanos nel ruolo della Regina d’Egitto, la bacchetta di Karl Richter (che aveva tagliato una mezz’ora di musica) e un’ambientazione abbastanza tradizionale. Affascinante anche l’allestimento romano del 1984 con Margerita Zimmerman e Monserrat Caballé, con Gabriele Ferro alla guida dell’orchestra e la regia di Alberto Fassini; si era scelto un mezzo soprano come protagonista maschile. L’allestimento ebbe successo e venne ripreso qualche anno più tardi con Cecilia Gasdia nel fulgore delle sue qualità sceniche e vocali.
Una decina di anni fa in un allestimento coprodotto dal Teatro Real di Madrid e dal Comunale di Bologna, oltre un’ora di musica veniva eliminata, tagliando completamente sette dei 45 numeri, riducendo i recitativi e operando anche all’interno delle singole arie (falcidiando i “da capo”); lo spettacolo non durava più di tre ore e mezzo (rispetto alle oltre quattro ore delle edizioni romane del 1984 e del 1998 e di quella di Martina Franca del 1989). I ruoli maschili erano affidati, in gran misura, a mezzo-soprani e contralti, nonostante che nell’opera, Giulio Cesare, giunto a 54 anni d’età, in Egitto sia più seduttore che condottiero. La scrittura orchestrale non veniva modernizzata (dirigeva Rinaldo Alessandrini); non si scivolava, però, nella tentazione di aggiungerle fioriture alla Hornancourt. Luca Ronconi trattava gli aspetti scenici con misura: un impianto fisso con due maxischermi dove venivano proiettati spezzoni di deserti e piramidi nonché di vari “Cesare e Cleopatra” della miglior tradizione di Hollywood e di Cinecittà. Il kitsch veniva esaltato dai costumi (dai romani in abito coloniale a Cleopatra abbigliata alla Claudette Colbert). In questo quadro, il complicato libretto di seduzioni, intrighi, tradimenti e sangue veniva letto con ironia dall’inizio alla fine. In effetti, l’unica edizione filologica, sotto il profilo musicale, presentata di recente è quella curata da Ottavio Dantone un anno fa che si è vista ed ascoltata, oltre che a Ravenna, Ferrara e Modena, all’Opera Nazionale polacca di Poznan, all’Opera di Brema in Germania e all’annuale Festival Händeliano a Halle).
Questi non sono che alcuni esempi di allestimenti che mostrano come il considero “Giulio Cesare in Egitto” sia una pietra miliare del teatro in musica, non solo per la caratterizzazione dei personaggi (insolita in un’epoca barocca dove i vocalizzi contavano più dell’evoluzione psicologica) ma anche perché anticipa - ad esempio l’uso del recitativo accompagnato che esplode in un’aria nella scena dell’appuntamento tramutato in imboscata - pure il declamato del Novecento. Concepito per essere vista e ascoltata da esperti della musica di Händel, l’allestimento di Ottavio Datone non faceva sconti, specialmente sotto il profilo musicale: per questo il lavoro è affidato alla ravennate Accademia Bizantina guidata da Dantone, che utilizza un organico il più possibile simile all’originale: 28 strumentisti e l’impiego di strumenti d’epoca come la tiorba, la viola da gamba, i violoni e i flauti traversi. Il suono ha la ruvida dolcezza (solo in apparenza una contraddizione in termini) del teatro barocco, è di grande supporto alle voci, tranne che nelle “sinfonie” che fungono da preludi o intermezzi (grandioso quello della battaglia). Cecilia Bartoli promette che non ne farà nessuno a Salisburgo. (ilVelino/AGV)
(Hans Sachs) 23 Aprile
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