TUTTI GLI ECONOMISTI CHE SPINGONO PER UNA FRANCOFORTE MENO INGESSATA
Giuseppe Pennisi
Le ultime critiche (in ordine di tempo) della professione economica alla Banca centrale europea (Bce) sono arrivate la mattina del 23 settembre: sullo “European Economics:Political Economy and Public Economics E-Journal” diretto da Marco De Rin e Francesco Giavazzi della Bocconi è apparso un severo saggio di un noto economista slovacco, Dusan Victor Soltes. Nel saggio l’”eurozona” è considerata “vittima dei criteri di Maastricht e di come sono stati interpretati dalle istituzioni dell’Unione Europea (UE)”. L’attacco è frontale: tanto il trattato quanto le interpretazioni sono implicitamente recessioniste. Più specifico il saggio diramato (sempre la mattina del 23 settembre) dal Center for European Policy Studies (CEPR Discussion Paper No. DP8565). Ne sono autori Florin Ovidiu Bible (Oxford), Ippei Fujiwara del servizio studi della Bank of Japan, e Fabio Piero Ghirino (Boston College)- quindi, un team internazionale. Sulla base di teoremi ed algoritmi, lo studio lancia una freccia al cuore della Bce: alla delibera cardine del Consiglio - quella secondo cui la politica monetaria europea deve mirare a tenere l’inflazione al di sotto del due per cento l’anno. In questo modo, afferma il lavoro, si ristagna.
Severo il giudizio di Katja Hillmann dell’Università dii Amburgo e di Wolfram Wide della Università di Muestern, in un saggio in corso di pubblicazione ma la cui bozza circola da tempo tra gli addetti ai lavoro. I due sono sostenitori della moneta unica ma documentano come la Bce non si curata dei differenziali di crescita e di inflazione all’interno dell’eurozona (od è stata incapace di gestirli), innescando crescenti divari nei conti con l’estero degli Stati membri ed un forte aumento del credito totale interno in alcuni di essi, contribuendo, così, all’incremento dei debiti sovrani.
Su linee non molto differenti due economisti relativamente giovani: Ernesto Crivelli (argentino di origine italiana, ora al Fondo Monetario) e Diego Valiante (del Center for European Policy Studies). In uno studio del primo uscito sul “Journal of Policy Reform”, promuovendo bassi tassi d’interesse nell’area, la Bce ha incoraggiato un eccessivo indebitamento pubblico sui mercati dei capitali (specialmente per infrastrutture). In un policy brief (della settimana scorsa) del secondo, alle origini del pasticciaccio attuale ci sono errori ed analogie con gli sbagli di politica monetaria fatti dall’Argentina nel 1998 e nel 2010; ora la Bce dovrebbe adottare una strategia di “quantitative easing” a sostegno di obiettivi di crescita- una svolta considerevole rispetto agli ultimi 12 anni. La crisi del debito sovrano sottolinea uno degli estensori del Trattato di Maastricht e degli statuti della Bce, Paul de Grauwe dellUniversità Cattolica di Lovanio ha reso chiaro che i compiti di una banca centrale non consistono unicamente nel far sì che il tasso d’inflazione sia basso. Per mantenere stabilità finanziaria l’istituto deve essere il prestatore di ultima istanza per le banche che appartengono al sistema; per la Bce ciò dire essere il prestatore di ultima istanza nel mercato dei titoli pubblici. Ciò non implica necessariamente l’emissione di eurobond. Ci sono strumenti intermedi che possono essere attivati o ri-attivati : a) acquisti di covered bonds a basso rischio; b) allungare da sei mesi ad un anno i propri prestiti alle banche del sistema; c) incoraggiare le banche centrali nazionali a fare prestiti di emergenza (come già fatto in Irlanda e Grecia) a banche in difficoltà nei loro Stati.
Mutare gli statuti della Bce per renderli simili a quelli della Federal Reserve vuol dire rinegoziare i trattati ( e 17 ratifiche). Tuttavia, come indicato, c’è spazio per interpretare meglio le regole vigenti e , sotto il profilo formale, possono essere sufficienti nuove delibere del Consiglio. Quando, tra poche settimane, il Prof. Draghi prenderà le consegne dall’Ing. Trichet, avrà un bel da fare per correggere il tiro (mentre si riscrivono i trattati).
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