LA PROPOSTA DELLA UE PUÒ FRENARE LA SPECULAZIONE
Tassiamo le transazioni a rischio Senza attendere tre anni
GIUSEPPE PENNISI
I l presidente della Commissione europea ha presentato una serie di proposte di regolamentazione e tassazione delle transazioni finanziarie, che dovrebbero frenare movimenti di capitale speculativi e generare un gettito a regime di circa 55 miliardi euro l’anno, dal 2014 o giù di lì. Le proposte prevedono aliquote basse, ma una tassazione estesa a una vasta gamma di operazioni sul mercato 'secondario' con oneri crescenti a mano a mano che aumenta la complessità (e la probabile minore trasparenza, quindi il rischio) del titolo trattato. Viene escluso il mercato 'primario', essenzialmente quello dei titoli di Stato, per non penalizzare, anzi favorire, le aste dei vari ministeri del Tesoro dell’Unione Europea e, un domani, l’eventuale collocamento di 'eurobond', se mai avranno vita.
La proposta comporta un giudizio di merito sulla sostanza, una valutazione del modo di comunicarla e un’analisi delle possibili modalità per darle realmente corpo. Quanto alla sostanza, i movimenti di capitali a breve sono stati una delle determinanti della crisi finanziaria ed economica in corso. Lo furono già ai tempi della 'crisi asiatica', come documentato dalla saggistica del premio Nobel Joseph Stiglitz che, in polemica proprio su questo punto con il Fondo monetario internazionale, lasciò la vice presidenza della Banca mondiale. Nella crisi iniziata dal 2007, poi, hanno colpito alcuni Paesi europei sia dell’eurozona, come l’Irlanda, sia non appartenenti al club dell’euro come l’Ungheria. Una regolamentazione – la tassazione non è che la punta dell’iceberg di nuove regole – appare, quindi, utile e necessaria.
È errato, però, parlare di 'Tobin Tax'. James B. Tobin, consigliere economico di John F. Kennedy, infatti, definì i limiti della sua proposta già nel 1972, nel pieno della 'crisi asiatica', precisando che l’imposta aveva unicamente l’obiettivo di frenare movimenti di capitale a breve, che avrebbero potuto causare fluttuazioni troppo forti del mercato dei cambi e che non si sarebbe trattato di un’imposta internazionale ma di una misura che avrebbero potuto prendere unilateralmente i singoli Paesi che si sentissero minacciati da flussi e deflussi di capitali a breve.
Tobin precisò anche che è difficile distinguere tra movimenti a breve, medio e lungo termine, con il rischio di penalizzare potenziali investimenti diretti verso Paesi o aree (come il nostro Sud) in sviluppo. In effetti, l’attuale proposta della Commissione Europea ha poco a che vedere con la 'Tobin Tax' e definirla così potrebbe far innalzare una vera e propria muraglia di opposizioni. La parte tributaria potrebbe invece essere chiamata 'tassa sul rischio': chi intende assumersi rischi tali da mettere a repentaglio la stabilità finanziaria (e quindi il benessere della collettività), dovrà pagare una piccola imposta.
C’è, infine, il problema della realizzazione e dei tempi di attuazione.
Volendo uscire dall’ambito dei meri auspici, occorre chiedersi se non sia utilizzabile un metodo più semplice rispetto a quello dell’adozione di un nuovo trattato con 27 ratifiche in altrettanti Paesi dell’Unione. Si potrebbe, ad esempio, affidare l’elaborazione di un regolamento all’Autorità europea per la sorveglianza del mercato dei valori mobiliari (l’European Securities and Markets Authority). L’Esma è stata creata proprio con queste finalità ed è bene che venga messa alla prova. Il regolamento potrebbe poi essere recepito più facilmente nelle normative nazionali secondo le procedure ordinarie. Anche prima del 2014, per evitare di chiudere il recinto quando i buoi sono scappati da tempo.
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