sabato 17 settembre 2011

Cosi la riforma non aiuta il pareggio di bilancio in Il Sussidiario 17 settembre

Così la riforma del governo non aiuta il pareggio di bilancio
Giuseppe Pennisi
sabato 17 settembre 2011
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Non so quanti dei nostri lettori abbiano dimestichezza con “Justine o le disavventure della virtù” del Marchese De Sade, romanzo giustapposto a quello di “Juliette” che, dall’età di 13 anni, non cercava che di praticare il vizio. Justine voleva una vita virtuosa; per resistere a chi aveva ben altre intenzioni (su di lei), finì in prigione dove gliene capitarono di tutti i colori. Scappata di galera, ebbe disavventure ancora più intrise di vizio.
Tra i suoi consiglieri, il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giulio Tremonti, ha un filosofo con un dottorato di una nota università cattolica francofona; gli suggerisco che doni al Ministro una copia, se non di ambedue i romanzi, almeno di quello relativo a Justine.
Prima di andare alle specifiche dello sbilancio italiano, vale la pena ricordare che tra gli Stati che hanno regole analoghe si annoverano perle di virtù fisco-monetaria (il resto non ci interessa): l’Argentina, il Brasile, la Bulgaria, la Colombia, l’Ecuador, l’Egitto, le Filippine, l’India, l’Indonesia, il Marocco, il Panama, il Perù, la Spagna, la Russia, l’Ucraina e l’Ungheria. Certo, regole del genere le hanno anche l’Austria, i Paesi Bassi, la Germania, la Norvegia, il Regno Unito, la Francia, la Svezia, il Giappone e altri. Ciò vuol dire ci si può trovare sia in buona, sia in cattiva compagnia.
Come ci ha insegnato il Premio Nobel per l’Economia Douglas Cecil North, e i numerosi studi empirci della sua scuola (specialmente importanti quelli di Avinash Dixit), molto più importanti delle regole formali sono i comportamenti delle “institutions”, ossia l’insieme di regole informali implicitamente e rigorosamente seguite. Senza dubbio, le regole formali possono contenere incentivi e disincentivi che aiutano a plasmare le “institutions”.
Lo fa l’articolo della legge costituzionale in materia di pareggio di bilancio? Non certo il primo articolo: un auspicio che tutte le pubbliche amministrazioni “perseguano” obiettivi di bilanci in pareggio. Un “perseguimento” da considerarsi più vicino a quello (“della felicità”) della Costituzione americana o a quello (sempre “della felicità”) di quella giapponese. Il primo nasceva nello spirito della Dichiarazione di Philadelphia, il secondo veniva imposto dal Gen. McArthur a un Impero che aveva appena firmato una resa incondizionata.
Il secondo - ricordiamolo - è stato utilizzato (con successo) di fronte alla Corte Suprema nipponica dalle cosche per combattere le leggi che ne vietavano l’operatività: dimostrarono che prostituzione, gioco d’azzardo e droga (da esse forniti) servivano al “perseguimento della felicità” di tanti concittadini. Per dare corpo al perseguimento dell’equilibrio dei bilanci, si dovranno definire modalità approvate da ciascuna delle due Camere a maggioranza dei due terzi. Auguri!
Naturalmente, si tratta di un pareggio soggetto a deroghe a ragione dell’andamento del ciclo economico o di stato di necessità. Anche in questi casi, necessaria una maggioranza qualificata. Ancora auguri!
Infine, il comma relativo a Regioni, Province , Comuni e autonomie di ogni tipo e natura opta per un pareggio di bilancio ancora più debole; in breve, ci si può indebitare per investimenti e si devono presentare piani di ammortamento. Augurissimi!
In nessun caso si prevedono sanzioni.
I manuali economici hanno smesso di trattare la materia circa 40 anni fa. Probabilmente, la riforma costituzionale è stata redatta pensando che potesse incidere sui mercati. Se questa era l’intenzione, gli obiettivi non sono stati (almeno per ora) raggiunti.


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