Lirica: la Romania riscopre la fede di Enescu
DI GIUSEPPE PENNISI
S i chiude stasera a Buca¬rest la ventesima edi¬zione del Festival Ene¬scu che si svolge ogni due an¬ni. Ques’edizione ha propo¬sto tre opere, due balletti e 70 concerti in cui 26 orchestre romene si sono confrontate con le maggiori internazio¬nali, come l’Orchestra di Santa Cecilia. Anche se la ca¬pitale è la sede principale, la manifestazione si estende in tutto il Paese, specialmente nei luoghi che furono cari a Enescu. Oedipe
è il suo uni¬co lavoro per la scena (vi la¬vorò oltre vent’anni su un li¬bretto francese) l’unica ope¬ra in musica tratta non solo dall’Edipo re e dal meno no¬to
Edipo a Colono
ma anche dagli antichi miti greci sulla nascita del protagonista già segnata da un fato inesora¬bile. È stata relativamente di¬menticata perché traccia un quadro molto articolato del percorso di Edipo (e, con es¬so, dell’umanità) sino alla ca¬tarsi ed al perdono finale (a differenza del sofocleo l’Oe¬dipe di Enescu riacquista la vista, umiliandosi rispetto a Dio). Si basa su una premes¬sa lontana da Sofocle e per decenni considerata politi¬camente poco corretta dalla cultura marxista che domi¬nava la Romania. Alla do¬manda della Sfinge: «chi è più grande del destino?», E¬dipo risponde, al termine della sua dolorosa vicenda terrena: «l’uomo», rettifican¬do, però, che l’«uomo è più forte del destino», ma non è più grande. Il «destino» è l’Al¬to (Enescu era praticante del¬la Chiesa ortodossa romena). Nella partitura di Oedipe,
da un lato, si avverte la forma¬zione francese di Enescu (al¬lievo di Gabriel Fauré) prin¬cipalmente l’influenza delle opere corali di Darius Milhaud. Da un altro, il lin¬guaggio di Richard Strauss degli anni di Elena Egizia e di Karol Zsymanowsky (il cui Re Ruggero
ha di recente avuto la prima italiana a Palermo) coniugato con un leit motiv ricorrente (quello del desti¬no).
Da un altro ancora le melodie popolari rumene, specialmente quelle come la doïna ed il cîntec lung, con il contrappunto dell’eterofo¬nia bizantina e di sperimen¬talismi fonici. Infine, una scrittura vocale mobilissima, che va dal canto al declama¬to, al grido, al mormorio.
Naturale raffrontare il nuovo allestimento dell’Opera Na¬zionale Romena, con quello che si vide a Cagliari nel 2005 (e che viene considerato una delle determinanti del disse¬sto del Lirico). Lo spettacolo è dispendioso: grande or¬chestra, corpo di ballo, étoi¬les, doppio coro, 15 solisti, sei scene. Allora Graham Vick fe¬ce un allestimento colossale (mai più ripreso). Essenziale, invece, la messa in scena di Viorica Petrovici: un unico impianto a due piani colle¬gati da scale quasi a chioc¬ciola (danno il senso del 'th¬riller') e giochi di luce. In bre¬ve, la lezione di Adolphe Ap¬pia che ha dominato Bay¬reuth sino alla metà degli An¬ni Settanta. Di grandissimo livello orchestra (concertata da Tiberiu Soare) e coro (di-retto da Sellan Olariu) – am¬bedue colossali in organico e perizia. Tra i solisti spicca¬no Stefen Ignat (il protagoni¬sta, già ascoltato a Cagliari), Horia Sandu ( Tiresia) e Ionut Pascu. Ottima Ecaterina Tu¬tu, nel breve ma difficile ruo¬lo della Sfinge.
Bucarest applaude al festival dedicato al grande compositore l’«Oedipus» ispirato a Sofocle e considerato politicamente scorretto dal regime per la presenza di Dio e del perdono
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