Uno studio ricostruisce una vicenda per anni "segretata"
Un omaggio ai ragazzi di Kos,
dimenticati per troppo tempo
di Giuseppe Pennisi Ricordate L'arpa birmana , il film diretto da Kon Ichikawa del lontano 1953? Fu nominato all' Oscar al miglior film straniero e partecipò alla 21ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia nel 1956, rivelando l'arte di Ichikawa al pubblico occidentale. Solo per pochissimi voti non vinse il Leone d'oro, che quell'anno la giuria decise di non assegnare. L'opera affrontò il tema della pietà spinta all'estremo, tramite la vicenda di un ufficiale nipponico rimasto dopo la guerra in Birmania per sotterrare, secondo i riti buddisti, i commilitoni morti e spesso lasciati agli avvoltoi o sotterrati in fosse comune.A Latina c’è un ex-ufficiale dell’Esercito (Accademia di Modena) che nel corso della sua carriera ha passato diversi anni all’estero quale rappresentante italiano in un progetto multinazionale. Ora potrebbe godersi serenamente la pensione, ma , letto un libro quanto meno facilone (Il mandolino del Capitano Corelli ) e visto il film di cassetta tratto dal romanzo, ha dedicato le proprie risorse (il trattamento previdenziale) e la propria esistenza a scoprire cosa è davvero successo nell’Egeo nel 1943-44. Il suo nome è Pietro Giovanni Liuzzi, poco noto al grande pubblico ma diventato un’autorità tra gli storici militari. Pur se non è uno storico ed è mosso dalla pietas per i nostri “ragazzi” di quegli anni. Come il protagonista de L'arpa birmana. Il suo primo libro riguarda Cefalonia ed è stato presentato, circa due anni fa, in un seminario della Fondazione Farefuturo.Il secondo (Kos- Una tragedia dimenticata. Settembre 1943-Maggio 1945, Edit@, pp. 240, euro 12) è molto più importante del primo in quanto riguarda una tragedia che è stata, in pratica, “segretata” sino agli anni Cinquanta e di cui anche oggi si preferisce non parlare. E neanche citare: quella dei “dimenticati di Kos”. Chi erano? La loro vicenda è ricostruita da Liuzzi (dopo lungo lavoro d’archivio ed incontri con i pochi testimoni ancora vivi sia in Italia sia nell’Egeo).Ricordiamo i fatti essenziali. Occupare il Dodecaneso è sempre stata un obiettivo strategico di Churchill (non condiviso dal comando Usa a ragione dei rischi); da tempo, egli aveva ordinato l’approntamento di un piano operativo per l’invasione. A ragione del marasma creatosi nelle forze armate italiane dopo la firma dell’armistizio del 8 settembre 1943, Churchill ritenne giunto il momento di agire e dette il via all’operazione “Accolade” il cui scopo era d’utilizzare l’aeroporto di Kos al fine di accorciare i tempi di volo degli aerei della Raf, dislocati al Cairo e a Cipro, per colpire obiettivi nei Balcani e dare copertura aerea alle unità navali nell’Egeo. I movimenti britannici furono rilevati dalla sorveglianza aerea tedesca che attaccò Kos con inusitata sorpresa, nella notte tra il 2 ed il 3 ottobre. Sostenute dall’intensa attività della Luftwaffe, dotate di equipaggiamento e armamento moderno, i tedeschi ebbero il sopravvento sulle scollegate azioni difensive italiane e britanniche. Dopo 38 ore di combattimento, il comando italiano dichiarava la resa alle 14 del 4 ottobre 1943. Mentre gran parte dei britannici raggiunse, con mezzi di fortuna, la Turchia e altri, catturati, vennero trasferiti in Grecia continentale e trattati da prigionieri di guerra secondo quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra,. Tremila italiani, dei 4000 presenti nell’isola, furono ammassati nel Castello di Kos dove subirono, per 20 mesi, malversazioni di ogni tipo.Gli ufficiali italiani erano 148: di loro, 7 passarono con i tedeschi, 28 riuscirono a fuggire in Turchia, 10 ricoverati in ospedale e trasferiti in Germania, 103 fucilati. 66 corpi vennero ritrovati in 8 fosse comuni ma solo 42 furono riconosciuti. Gli altri 37 corpi, da allora, non furono mai cercati sebbene si conoscano i possibili luoghi delle fucilazioni. Perché tanti anni di oblio? Nella vicenda non brillava né il comportamento del governo Badoglio, né quello del governo britannico, né di quello del governo tedesco. I caduti non erano moltissimi: si preferiva ignorare che sollevare fatti veri ma imbarazzanti. Nel dopoguerra, poi, l’Italia allacciava nuove relazioni internazionali e né i tedeschi né i britannici avevano dato una buona prova. Sessantasei anni dopo, è imperativo ricordarsi che tra il sangue dei vinti c’è pure quello di Kos.Un seminario a Farefuturo? Vorrei suggerire sommessamente qualcosa di più: dedicare ai dimenticati di Kos uno dei seminari che il presidente della Camera dei deputati organizza frequentemente alla Sala della Lupa di Montecitorio. Lo meritano i ragazzi di Kos e la pietas di Liuzzi.
14 novembre 2009
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