mercoledì 11 novembre 2009

PENSARE AL DOPO CRISI PUNTANDO SUI GIOVANI Avvenire dell'11 novembre

Si può attuare un’”exit strategy” che dia la priorità alle nuove generazioni? Un articolo lanciato su oltre cento giornali (in tutto il mondo) dal Premio Nobel Paul Krugman critica Usa ed Ue che starebbero attuando politiche di bilancio troppo timide; non tratta del peso, sui giovani, dell’indebitamento, causato dai crescenti deficit dei conti pubblico; negli Usa, ad esempio, il debito totale interno supera già tre volte il pil. “The Economist” gli ha fatto eco esaltando il “declino della fertilità”, “un regalo inatteso giunto alle società a basso reddito”, addirittura “un volano” per uscire dalla crisi. In sintesi, tanto Krugman quanto “The Economist” puntano su politiche che penalizzano i giovani di oggi (adulti di domani) e riducono il numero dei loro fratelli più piccoli.
Queste idee serpeggiano, purtroppo, nel G20. L’accento sul breve termine e l’elogio della denatalità hanno, in quella sede, una corrente di pensiero che si sta irrobustendo. Data la sede, occorre una risposta imperniata su argomentazioni economiche.
La forniscono due lavori recenti. Il primo , di Matthew Adler della University of Pennsylvania, è apparso nell’ultimo fascicolo della “George Washington Law Review”. Nello studio si definisce, in termini rigorosamente tecnico-economici, come dare la priorità alle nuove generazioni sia nelle politiche sia nella valutazione di provvedimenti e d’investimenti pubblici. Sono temi specialistici poco atti ad essere sintetizzati su un quotidiano. Suggerisco la lettura del saggio alla Presidenza del Consiglio, agli sherpa italiani per il G20 ed ai Ministeri (Economia & Finanze e Sviluppo Economico) direttamente interessanti. Il secondo, un’analisi effettuata dall’Università della Ruhr (Economic Paper n.107), scava, in base a dati dei nati in Germania Ovest dal 1966 al 2008, in che misura la disoccupazione giovanile influisce sul capitale umano (la risorsa più preziosa del Paese). Nei Länder presi in considerazione, il numero dei giovani al di sotto dei 25 anni alla ricerca di lavoro è passata dal 4% all’inizio degli Anni Ottanta al 10,5% nel settembre 2009. Nonostante il miglioramento dei livelli d’istruzione nei 40 anni in esame ed i vasti programmi di formazione che Governo federale e Länder, il rischio di disoccupazione di massa tra i giovani) minaccia un deterioramento dello stock di capitale umano (la sola forma di capitale che se non si utilizza, si erode) con conseguenze negative sul futuro. Lo conferma uno studio comparato del Cnr: la crisi sta riducendo l’innovazione in Europa pure a ragione dei suoi effetti sul capitale umano.
Cosa fare? Un’idea buona viene il “gruppo di Bruegel”, l’associazioni di economisti animata da André Sapir; la si può leggere nel sito www.bruegel.org. Alla vigilia delle “nomine europee” (Presidente dell’Ue per due anni e mezzo e Alto Rappresentante per la politica estera per cinque anni), il gruppo ha delineato le priorità economiche dell’Unione nel periodo 2010-2015, basandosi su un principio semplice ma chiaro: l’Ue ed i suoi organi devono guardare al lungo periodo (il ruolo dell’Europa nella globalizzazione, la perdita di capitale umano anche a causa dell’invecchiamento , l’innovazione tecnologica, l’approvvigionamento energetico), mentre i singoli Stati sono meglio atti a trattare gli aspetti di breve periodo. Ciò non vuol dire scaricare sull’Ue le politiche per le giovani generazioni ma dare loro una collocazione alta ed appropriata poiché i giovani di oggi sono “più europei” dei loro padri.

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