lunedì 2 novembre 2009

- Opera, in un libro tutti i peccati del moraleggiante Wagner, Il Velino 2 Novembre

CLT - Opera, in un libro tutti i peccati del moraleggiante Wagner

Opera, in un libro tutti i peccati del moraleggiante Wagner
Roma, 2 nov (Velino) - Chi queste sere va al Teatro dell’Opera di Roma per il “Tannhäuser” di Richard Wagner, ascolta un apologo edificante in cui nel conflitto tra il Male (l’eros peccaminoso di Venere) e il Bene (la purezza della casta Elisabetta d’Ungheria) vince alla grande la virtù. Ed esce dal teatro, dopo quattro di spettacolo (intervalli compresi) pensando che il saggio Wagner, autore del testo e della musica, fosse un moralista tutto d’un pezzo nella complicata Germania del Romanticismo. Non solo. Ma un moralista che aborriva il peccato carnale (le orge nella montagna di Venere) ed esaltava la virtù e la purezza di Elisabetta d’Ungheria, morta vergine per il dolore di non riuscire a riscattare il suo amato e traviato cavalier-menestrello e portarlo alla redenzione.

Un saggio di Vincenzo Ramon Bisogni, “Richard Wagner- Das Rheingeld, un fiume di denaro” (Zecchini Editore), appena arrivato in libreria, documenta che questa lettura, su cui è impostata la regia dello spettacolo, non è errata ma erratissima. Il volume ha il pregio di essere facilmente leggibile (150 pagine) rispetto alla smisurate biografie su Wagner: quella di Ernest Neuman, tradotta in varie lingue e considerata il testo di riferimento da tutti gli studiosi del compositore, consta di sei volumi è di circa tremila pagine. Ha anche il vantaggio di essere scorrevole e di trattare, come un’inchiesta giornalistica, il “fiume di denaro” che accompagnava il “fiume di peccati” del buon Richard: un precursore, per molti aspetti, di D’Annunzio che amava fornicare nel lusso quasi che avesse esigenza di broccati e velluti di classe per godere i piaceri dell’amore.

Nel 1860, quando Wagner approntò l’edizione parigina del “Tannhäuser” (quella in scena a Roma), era un vero immoralista, molto diverso dal giovanotto trentenne, luterano di ferro, che tre lustri prima aveva composto la stessa opera per la rigorosa e puritana Corte di Sassonia. Nel ‘60 aveva abbandonato la moglie Minna, dopo averla tradita con varie ninfette e “veline” d’epoca, stava per portare via la moglie al proprio benefattore (l’industriale tessile svizzero Wesendock), aveva un ménage à trois con Cosima Litz e il di lei marito (il suo direttore d’orchestra favorito Hans von Bülow), anzi à quatre, perché nel letto di Cosima finiva spesso l’allora giovanissimo Hermann Levi, il quale qualche anno più tardi, dopo un “ben servito” a von Bülow, ne avrebbe preso il posto come direttore d’orchestra favorito di casa Wagner. Il tutto accompagnato da un fiume inarrestabile di denaro, proveniente dai suoi benefattori. E’ un mistero come avesse tanto fascino un ometto altro meno di un metro e sessanta e perennemente squattrinato. Sarebbe tornato a Lutero, mettendolo anzi in salsa buddista, negli ultimi anni della propria esistenza terrena e lasciando come suo ultimo lavoro una “sacra rappresentazione” ispirata alle letture più rigorose dei Vangeli, specialmente di quelli apocrifi.

(Hans Sachs) 2 nov 2009 10:56


02 nov 13:49 - POL - Il Cav.: La m

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