Focus Rss
[Servizi pubblici locali: una liberalizzazione ]
Un passo verso la separazione più netta tra proprietario e gestore
Servizi pubblici locali:
una liberalizzazione "ben temperata"
di Giuseppe Pennisi Si è concluso in questi giorni il primo importante di una liberalizzazione “ben temperata”, quella dei servizi pubblici locali. È “ben temperata” perché come sottolinea il ministro per le Politiche comunitarie, Andrea Ronchi, la nuova normativa sui servizi pubblici locali è «una riforma vera che metterà in moto investimenti veri», è una riforma che interessa da vicino noi tutti e che viene attuata gradualmente – selezionando i settori e prevedendo una loro apertura progressiva al mercato. Non come le liberizzazioni-privatizzazioni attuate dai governi di sinistra che – lo documentano i rapporti annuali di “Società Libera”, un’associazione apartitica che non ha mai mostrato particolari simpatie per il centro-destra – sono state realizzate in modo selvaggio e con un occhio agli amici e agli amici degli amici.I servizi pubblici locali – acqua, trasporti di massa, rifiuti urbani – riguardano la vita quotidiana di tutti noi . Il servizio studi della Banca d’Italia ha diramato di recente una serie di interessanti monografie (in italiano e in inglese) relative sia a tematiche generali (la regolamentazione attuale e quella che si profila in prospettiva, la creazione di un “capitalismo municipale” costituito non più da piccole aziende ma da grandi imprese, l’impiego della finanza di progetto e le sue implicazioni) sia a comparti specifici (trasporto pubblico locale, rifiuti urbani, distribuzione di gas naturale, il servizio idrico, taxi ed autonoleggio, e via discorrendo). Non solamente si tratta di studi basati su dati aggiornati, ma essi gettano nuova luce sulla questione di fondo: nel paese in cui Giovanni Montemartini inventò, in età giolittiana, le municipalizzate – gli abbiamo dedicato un museo a Via Ostiense ma i suoi libri sono introvabili in Italia, anche se in traduzione in inglese fanno ancora testo nelle università americane – è più urgente, in questo primo scorcio di XXI secolo, liberalizzare o privatizzare al fine di migliorare il servizio e rendere il settore competitivo su scala europea ed internazionale?Il settore comprende circa 370 imprese, con 200mila addetti. Alcune imprese sono di grandi dimensioni (si pensi a Hera, Iride, Gesac, Aem-Asm, Acea): risultano da un processo di aggregazione degli ultimi venti anni. I Comuni, le Province e in certi casi le Regioni sono tra i maggiori azionisti – una delle monografie analizza dieci tra i principali casi aziendali e individua i percorsi “virtuosi” (spesso associati a un nocciolo duro energetico caratterizzato da alta redditività). Accanto ai “giganti” c’è una miriade di piccole e medie aziende. Complessivamente, formano oltre l’1% del Pil nazionale, ma in alcune Regioni rappresentano il 6% del valore aggiunto prodotto in loco. Il “capitalismo municipale”, inoltre, è internazionalizzato; l’azionista di maggioranza della società che gestisce gli aeroporti campani è una multinazionale d’origine britannica. Le società miste pubblico-privato, e in particolare quelle con soci stranieri, presentano indici di redditività superiori a quelle delle società unicamente municipali, specialmente in termine di margine operativo lordo. Un’analisi di dieci “Big” del settore delinea vincoli che frenano anche i “grandi” e che impediscono la crescita dei “piccoli”: da un canto, il disegno regolamentare è inadeguato poiché le tariffe non coprono i costi, e sono comunque state fissate (anche a ragione della metodologia prevista per legge) a livelli eccessivamente bassi (scoraggiando partner privati, soprattutto quelli stranieri); da un altro, la separazione tra proprietà/controllo (quasi sempre pubblica) e gestione non è sempre sufficientemente netta quanto sarebbe auspicabile. Lo studio suggerisce “una separazione dei ruoli – di rappresentanza delle esigenze dei consumatori da quella della politica locale e dall’interesse ai risultati economici – attraverso forme di privatizzazione dei gestori con una diluizione delle partecipazioni degli enti locali. A indicazioni analoghe è giunto tempo fa uno studio del dipartimento di Economia dell’Università di Roma “La Sapienza”: «una scelta radicale» - «una gestione pubblica separata dalla fornitura del servizio, almeno sino al momento in cui non sarà risolto il nodo degli assetti gestionali» . Non è, però, un percorso semplice. Nonostante la crisi finanziaria ed economica internazionale (che ha inciso non poco sui programmi di tutti i governi e sulle loro priorità), la normativa varata rappresenta un passo importante verso una più netta separazione tra proprietario/controllore e gestore da scegliersi in seguito a «procedure competitive ad evidenza pubblica». Lo sostiene anche una recente rassegna commissionata dalla Fondazione Bertelsmann e presentata ad una congresso internazionale a Berlino a cui hanno partecipato circa 600 esperti.
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