NEUROECONOMIA
Giuseppe Pennisi
Le buone notizie accelerano la crescita? Vale la pena chiederselo dopo l’entusiasmo con cui alcuni media italiani hanno colto la notizia diramata dall’Ocse secondo cui nel terzo trimestre del 2009 il Pil italiano è cresciuto, rispetto ai tre mesi precedenti, ad un tasso (0,6%) superiore a quello della media dell’Ue (0,2%) e dell’area dell’euro (0,4%). Gli stessi media hanno dato relativamente poco rilievo ad un altro passo dello stesso documento Ocse- quello secondo cui ” la disoccupazione italiana salirà all'8,5% nel 2010 e all'8,7% nel 2011e “ il Pil italiano calerà' del 4,8% quest'anno per poi tornare a crescere dell'1,1% il prossimo e dell'1,5% nel 2011”. Quasi nessuno ha riportato le previsioni diramate lo scorso fine settimana dai 20 modelli econometrici (tutti privati, nessuno italiano) del gruppo chiamato, in gergo, “del consensus” secondo cui nel 2010 l’Italia avrebbe una crescita dello 0,8% rispetto all’1,2% della media dell’area dell’euro, restando essenzialmente uno dei fanalini di coda dell’Ue.
Lettura poco attenta delle cifre da parte di redattori sotto pressione a ragione delle scadenze del processo di produzione giornalistica oppure con poca dimestichezza con la statistica economica? Od un’interpretazione più sottile che si collega con le analisi del recente “Rapporto Stiglitz” sull’economia della felicità? Quasi in parallelo con le pacche sulle spalle alla lettura dei dati Ocse per il terzo e secondo semestre 2009 (comunque acqua passata poiché già dettagliate nelle principali specifiche dai comunicati Istat), un centinaio di quotidiani di vari Paesi – le testate aderenti al pool di commentari “project syndacate”, pubblicavano un editoriale di Robert J. Shiller dell’Università di Yale – l’esegeta, per intenderci, dell’”esuberanza irrazionale” delle Borse alla base della bolla della “new economy” prima e tra le componenti dell’attuale crisi, poi- efficacemente intitolato “La ripresa: è tutta nella nostra testa”. Intendiamoci, questa volta Schiller non è un profeta di sventura – come lo era al tempo dell’analisi dell’”esuberanza irrazionale”; al contrario, l’ipotesi di Schiller è che se si vuole che i barlumi di miglioramento si consolidino e si giunga a crescita auto-sostenibile, occorre guardare in termini positivi e con fiducia all’avvenire. Non è un’ipotesa nuova, anche se formulata più dai sociologi che dagli economisti. Nel 1937, ad esempio, quando gli Usa stavano uscendo dalla Grande Recessione, nel best seller “Think and Grow Rich , Napoleon Hill” sostenne che per arricchirsi occorreva lavorare sul subconscio. L’ottimismo del dopoguerra è stato, in parte, ispirato a “The Self-Fulfilling Prophecy” di Robert K. Merton: con l’auto-convincimento i sogni economici diventano realtà.
Gli specialisti di economia dello sviluppo hanno testato queste interpretazioni sociologiche con gli strumenti della disciplina economica. Negli Anni 70, Albert O. Hirschmann la applicò “al viaggio verso il progresso dell’America Latina”. Un quarto di secolo fa, il suo allievo italiano Luca Meldolesi scrisse un saggio secondo cui, per uscire dai pasticci, il Mezzogiorno avrebbe dovuto abbandonare la tradizionale melanconia mediterranea e guardare al presente ed al futuro “con gioia!”, L’elenco è diventato vasto negli ultimi dieci anni man mano che si è affermata la “neuroeconomia” sperimentale , disciplina in cui l’economista utilizza tanto gli algoritmi quanto le tecniche ed il lettino dello psicanalista: oggi Victor Ricciardi del Social Science Research Network invia tre newsletter al giorno ai propri abbonati – cinque giorni la settimana : una di teoria di neuro-economia, una di applicazioni (ed esperimenti) alla finanza ed una di applicazioni (ed esperimenti) all’economia reale. Dal 1996 sono uno dei suoi fedeli lettori.
Il lavoro dei neuro-economisti, soprattutto quello empirico, però, ha riguardato e riguarda, in gran misura, problemi micro. L’ultimo fascicolo dell’ American Economic Review viene aperto da un saggio di Nir Jaimovich e Sergio Rebello specificatamente attinente al nostro tema: in che misura le informazioni sul futuro (come le previsioni econometriche ed ancora di più la lettura che ad esse danno i media per renderle alla portata dei telespettatori e dei lettori di giornali) possono pilotare il ciclo economico. L’analisi riguarda gli ultimi 60 anni; sulla base di previsioni e realizzazioni effettive negli Usa prende in esame non solo il nesso tra notizie ottimiste e pessimiste e la crescita del Pil ma anche tramite un unico modello econometrico (di norma si sono utilizzati modelli distinti per i singoli fenomeni). il nesso con gli investimenti, le ore effettivamente lavorate, la produttività . Il lavoro non solamente conferma che l’ottimismo innescato da buone nuove (pur quando i dati vengono interpretati un po’ artatamente) facilita il miglioramento del ciclo economico. Mentre il pessimismo lo peggiora. Schiller non cita il lavoro; se non lo ha letto, è bene che lo faccia poiché vi trova una dimostrazione quantitativa alla sua tesi.
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