ANCHE IL LAVORO VA ADATTATO ALLA SOCIETA’ CHE INVECCHIA
Giuseppe Pennisi
Dal “Rapporto Nazionale 2009 sulle condizioni ed il pensiero degli anziani: una società diversa”, presentato in questi giorni, si evince che già il 20% degli italiani ha più di 65 anni ( nel Nord Est si sfiora il 30%), il 60% degli ultra-65enni sono donne e un terzo dei lavoratori attivi è nella “la terza età”. “Il welfare – conclude il documento- necessita di urgenti interventi per adeguarsi ai bisogni di queste nuove generazioni di anziani” in una società in cui nel 2050 l’aspettativa di vita raggiungerà 86.6 anni per gli uomini e 88.8 per le donne.
A mio avviso, gli interventi più importanti riguardano l’adattamento del mercato del lavoro ad un processo di pensionamento graduale, alcuni meccanismi previdenziali specifici ed il sistema sanitario. Tali interventi potranno essere compiuti dopo il superamento della crisi economica in corso ma occorre cominciare a rifletterne da ora.
In materia di mercato del lavoro, la priorità è facilitare l’occupazione degli anziani che possono e vogliono restare attivi. Ciò è stato fatto negli Usa con una sentenza della Corte Suprema che ha giudicato discriminatori, e incostituzionali, i “limiti di età” . Ciò implica ripensare norme recenti che, con l’obiettivo di svecchiare la dirigenza pubblica, hanno reso più stringenti tali “limiti”. Lo scopo di avere una dirigenza giovane pur mantenere gli anziani al lavoro (se possono e vogliono farlo), si raggiunge ponendo alle posizioni dirigenziali “tetti di età” anche inferiori alle attuali (in multinazionali ed organizzazioni Onu sono a 57 anni) ma facendo sì che i dirigenti siano affiancati da anziani in posizione di staff, della cui esperienza possano avvalersi. Ciò facilita anche posporre l’età effettiva di pensionamento. In Italia, è di queste settimane l’accordo secondo cui gli avvocati non potranno fruire di pensioni di vecchiaia prima dei 70 anni di età e di 35 anni di contributi. Pur se il meccanismo “contributivo” per il computo dei trattamenti previdenziali induce a ritardare l’età della pensione, è auspicabile che misure come questa vengano generalizzate al fine di evitare lo scenario di un’Italia il cui 30-40% della popolazione sarà composta da anziani indigenti.
La revisione di alcune norme lavoristiche e previdenziali deve essere accompagnata da misure specifiche attinenti all’indicizzazione dei trattamenti. Quando il meccanismo “contributivo” sarà in vigore, il rapporto tra ultimo stipendio e primo assegno pensionistico sarà attorno al 50%. Ciò può essere considerato adeguato dato che molti pensionati disporranno di capitali accumulati in vita attiva: smentendo il teorema per il quale Franco Modigliani ebbe il Premio Nobel, un’analisi dell’Università di Chicago avverte nazi che nell’America in cui il saggio di risparmio di individui e famiglie è rasoterra, solo gli anziani hanno tassi positivi di risparmio, sia per il desiderio di lasciare un’eredità a figli ( il 25% degli anziani risparmia a questo scopo) sia per la preoccupazione di spese elevate quando non saranno autosufficienti. Negli Usa chi nel 2009 va in pensione a 65 deve accantonare, a seconda del reddito e del genere, tra i 135.000 ed i 400.000 dollari per premi assicurativi sanitari e spese sanitarie non assicurabili. Ciò implica : un maggiore tasso d’indicizzazioni delle pensioni a partire dai 75 anni ed una politica mirata al miglioramento dei servizi sanitari per gli anziani.
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