Giuseppe Pennisi
Meno del 5% dei 500 milioni circa di cittadini dell’Unione Europea (Ue) “segue” le vicende che verosimilmente porteranno lunedì 9 novembre ad un accordo sulle “nomine europee” nel corso di una cena dei 27 riuniti a Berlino, nell’ambito delle celebrazioni per la caduta del muro. Pochi giorni dopo il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Ue si riunirà a Bruxelles per ratificare l’intesa. Le “nomine riguardano chi, ai sensi del Trattato di Lisbona che riorganizza l’Ue , sarà il Presidente dell’Unione e chi l’Alto Rappresentate dell’Unione per la Politica Estera e di Sicurezza (o “Ministro degli Esteri” Ue). “Segue” vuol dire che meno del 5% degli europei legge i titoli dei giornali sul tema; per questo, i media danno all’argomento poco rilievo.
Eppure, si tratta di “nomine” di peso: coloro che otterranno i due incarichi potranno dare il segno della politica Ue nel 2010-2015 – gli anni dell’uscita dalla crisi e della costruzione di un’Europa più orientata verso la produzione e le esigenze di individui e famiglie , meno dipendente dall’export per la sua crescita ed in cui la finanza sia finalizzata non a “giochi di denari” ma alla creazione di valore aggiunto di beni e servizi. Delle due cariche, la più importante è quella del “Ministro degli Esteri” Ue: è di diritto Vice Presidente della Commissione Europea e resta in carica per cinque anni. Il Presidente Ue ha un mandato di due anni e mezzo ed è un “primus inter pares”, tra i 27. Dato che il Parlamento Europeo, è diviso tra due grandi forze politiche – i popolari ed i socialisti – è normale che ad un Presidente di una parte corrisponda un “Ministro degli Esteri” dell’altra. Dato che la Commissione Europea, guidata dal “popolare” José Manuel Barroso, è pure normale che si scelga il suo Vice tra una rosa di candidati indicata dal Partito Socialista Europeo.
Il disinteresse dell’opinione pubblica Ue per le “nomine europee” risiede nel fatto che la materia viene trattata come una partita a scacchi od un gioco di birilli in cui i candidati vengono proposti essenzialmente per ragioni interne (allontanare concorrenti dalla scena nazionale, trovare poltronissime per “disoccupati di lusso”). Inoltre, la trattativa pare seguire le prassi della “diplomazia segreta” quale prevaleva all’inizio del secolo scorso.
Nella “rosa” socialista per la carica di “Ministro degli Esteri” Ue, Massimo D’Alema è in concorrenza con la francese Elisabeth Guigou, il britannico David Miliband ed il tedesco Franz Walter Steinmeier. Ciascun nome esprime una logica nazionale prima che una europea. Gli scommettitori vedono D’Alema al quarto posto od al terzo (nel caso Miliband reiterasse di “non essere disponibile” poiché vuole assumere la leadership dei laburisti ). In numerosi Paesi neo-comunitari pesa su D’Alema l’onere di essere stato “comunista”. Per mesi e mesi, il “favorito” alla carica di Presidente Ue è stato Tony Blair. L’ex Premier britannico è partito troppo presto, arrivando sfiatato pur se considerandosi già sull’alto scranno, senza contare che l’incarico spetta ad un esponente del Partito Popolare. I “neocomunitari” chiedono una voce maggiore nell’Ue: il polacco Jerzy Buzek pare avere oggi la nomina in tasca per logiche nazionali più che europee.
Una siffatta “partita a scacchi” non fa bene all’Ue; anzi allontana i cittadini dalle nuove istituzioni in costruzione
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