Roma, 18 nov (Velino) - Sulla stampa italiana, ed internazionale, pochi anzi pochissimi si sono interessati a come i russi vedono la crisi finanziaria e le possibili exit strategy. È un errore poiché, a mio avviso, la Federazione Russa rappresenta, con l’Italia, la Francia, la Germania, l’Egitto e la Turchia l’Esagono che, dopo il superamento della crisi, potrà essere il fulcro della crescita in Europa e nel Bacino del Mediterraneo. Per questo motivo mi sono rivolto al mio collega ed amico Andrei Igorrevitch, Artemenko, titolare della cattedra di politica economica e finanziaria alla Scuola superiore della pubblica amministrazione della Federazione, per saperne di più. Artemenko mi ha inviato le dispositive che utilizza per insegnare la tematica ai dirigenti dell’amministrazione centrale – quelli maggiormente in contatto sia con gli argomenti del caso sia con le loro controparti europee ed americane.
Mi è parso utile, in questa rubrica, non dare la mia opinione personale ma riassumere la diapositive di Artemenko, il quale parte dall’assunto che la crisi finanziaria non è la determinante di quella dell’economia reale ma, al contrario, la finanza è saltata a ragione della contrazione delle attività reali. Le sfasature tra economia reale ed economia finanziaria derivano dal fatto che mentre la prima ha le caratteristiche cicliche analizzati da Keynes - ed approfondite da Minski (più volte citato da Artemenko) -, la seconda comporta l’espansione del credito totale interno ad interesse composto - a ritmi superiori in ogni caso rispetto a quelli dell’economia reale, specialmente in fase di recessione. Nonostante la sfasatura tra economia reale ed economia finanziaria ci sono periodi anche lunghi di calma relativa - quelli caratterizzati dalla “grande moderazione” di Minski- ma il giorno della resa dei conti non può essere posposto indefinitivamente. Il sottosistema monetario finisce, per auto sostenersi, nell’area dell’economia “virtuale” (la Borsa), che – avverte Artemenko – i proponenti della teoria dell’efficienza dei mercati finanziari considerano uno specchio fedele dell’economia reale. “Ne è, invece, un miraggio ingannatore” e “uno strumento per gonfiare rendimenti di breve periodo”, mentre nel lungo periodo crea inflazione non produzione reale di beni e servizi e la associa a scarsa utilizzazione delle risorse, quindi a disoccupazione. A questo punto, “una manovra keynesiana impostata e gestita con acume” è l’unico rimedio per rimettere in moto il sistema.
Ciò non è, però, sufficiente. Una discrepanza analoga si ha tra economia monetaria e consumi, come dimostrato dall’espansione di credito al consumo, anche nei confronti di soggetti non in grado di fare fronte ad ammortamenti ed interessi. Per controbatterla, occorrono misure keynesiane rivolte direttamente ai consumatori, coniugate con controlli sui prezzi del tipo di quelli più volte proposti da Galbraith. “In questo contesto è da considerarsi positivamente il rilancio del piano di Chicago per la riforma del sistema monetario internazionale” - di tassi di cambio che rispecchino le parità interne di potere d’acquisto e di una moneta internazionale (come il Bancor di keynesiana memoria).
In breve, il settore monetario e il settore dell’economia dovrebbero essere gestiti in modo da evitare persistenti disparità tra i due. Il settore monetario, inoltre, dovrebbe essere “servente” di quello reale e “dovrebbe, democraticamente, rendere conto alle esigenze dell’economia reale, della produzione e dell’occupazione”. I vincoli allo sviluppo dovrebbero essere le risorse reali ed umane, non la situazione monetaria. “In questo contesto aver passato il testimone dal G7 al G20 è un segnale positivo a ragione della maggiore attenzione all’economia reale da parte di molti Paesi del G20 sino ad ora esclusi dal G7”.
Queste idee sono meno confuse di quel che sembrano. C’è una buona dose di interventismo pubblico (keynesianismo, temperato da controlli sui prezzi) unito a nostalgie di un’economia monetaria internazionale agganciata a materie prime o a beni preziosi come l’oro. Nonché una dose di sfiducia nei confronti di banche centrali, rating agenzie e finanza in generale. Un mondo, quindi, distante da quello che ci circonda. Dato che è ciò che viene insegnato ai dirigenti russi, è bene esserne consapevoli.
(Giuseppe Pennisi) 18 nov 2009 11:11
• La Russia e la crisi, le dipositive di Artemenko
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