Opera,
Roma, 12 ott (Velino) - Con “La Traviata” si conclude a Firenze la “trilogia popolare” dedicata a Giuseppe Verdi, allestita da Franco Ripa di Meana affiancato da Edoardo Sanchi per le scene, Silvia Aymonino per i costumi e Guido Levi per le luci. Un’operazione a basso costo, destinata a un pubblico giovane e che vede la “trilogia” come un unico lavoro in cui “La Traviata” rappresenta il momento finale della concretezza. L’allestimento, pur seguendo scrupolosamente le “indicazioni sceniche” di Verdi, anche nei dettagli climatologici, situa le vicende d’amore e morte della cortigiana di lusso Violetta e del giovanotto di provincia Alfredo in un clima che ricorda più Balzac e Baudelaire che Dumas figlio: è trasgressiva, esplicita e violenta. Nessun dettaglio è banale. Il mondo maschile borghese che circonda Violetta non frequenta i bordelli per la promiscuità (soprattutto con avventori di altri ceti sociali) che tali istituti comportano, ma si diletta in un demi-monde di escort, gioco e qualche spinello. La messa in scena è un grande interno tappezzato con carta da parati con grandi disegni di camelie, che cambiano colore con giochi di luce. Un grande sipario e un enorme divano entrambi rossi danno corpo agli ambienti più intimi. Grande enfasi su movimenti (ad Alfredo si richiede vero e proprio atletismo nel brindisi del primo atto) e recitazione.
Lo spettacolo fa discutere, ma è piaciuto al pubblico (il 25 per cento erano giovani titolari della Maggio Card, quindi di età inferiore ai 26 anni) che alla diurna domenicale lo ha salutato con vere e proprie ovazioni da stadio. Seguendo la lezione di Termikanov, Daniele Callegari tratta ciascun quadro come un flusso sinfonico continuo accelerando i tempi nei momenti di maggior tensione e dilatandoli liricamente negli altri. L’orchestra e il coro del Maggio Musicale danno ancora una volta un’ottima prova. L’allestimento richiede che i due protagonisti sappiano cimentarsi con la scrittura vocale di un Verdi al pieno della maturità, siano giovani e avvenenti e in grado di recitare con efficacia. Andrea Rost ha mantenuto intatto il suo strumento vocale da quando era una delle prime donne più frequenti alla Scala: è una Violetta sensuale nel primo atto e sempre più dolente nei due successivi. Strappa applausi con i sovracuti di tradizione e con il “sì” bemolle al termine del primo atto.
Saimir Pirgu è giovane (ha 28 anni), attraente e atletico; si cala perfettamente nel ragazzo ingenuo che viene iniziato, progressivamente, al sesso, all’amore, alla compassione e alla tolleranza. La voce gli si è gradualmente spessita rispetto alle prime prove date con ruoli da tenore leggero a Bolzano e nel circuito emiliano-romagnolo. Ha un volume generoso; deve resistere alla tentazione di accettare ruoli “spinti”; al suo stadio di sviluppo vocale dovrebbe cimentarsi con Gounod e Massenet. Luca Salsi, nel ruolo di suo padre, cesella un Giorgio rigoroso; resta il dubbio se sia generoso o ipocrita. In breve, tirando un bilancio di questa trilogia verdiana fiorentina, la si può considerare come uno dei punti alti della stagione 2009, sia per gli esiti delle singole opere sia per il modello produttivo di contenere i costi attirando nuovo pubblico alla “musa bizzarra e altera”.
(Hans Sachs) 12 ott 2009 09:54
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ciao! sono un'addetta stampa. mi daresti un indirizzo e-mail al quale contattarti? grazie!
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