Quale è il modo più efficace per un borghese che ha passato la propria vita in una città di medie dimensioni della Moravia (tutto “casa e famiglia” sino a 63 anni quando si innamorò di una venticinquenne) per prendere in giro il perbenismo dei borghesi- piccoli-piccoli (il maestro di scuola saccente, il curato pedante, il guardiacaccia mal coniugato, il venditore ambulante avido) che rendevano difficile la sua vita? Ricorrere ai fumetti popolari di un giornale vagamente di sinistra, acquistato dalla sua “colf”, e farne un’opera in tre atti in cui il mondo piccolo borghese viene messe a confronto con quello degli animali del poco lontano bosco. Leóš Janáček (nato a Hukvaldy in Moravia nel 1853 e morto ad Ostrava sempre in Moravia nel 1928) fu molto che più che un precursore di Walt Disney come potranno vedere tutti coloro che si recheranno a Firenze a godere “La Piccola Volpe Astuta” (co-prodotta con il giapponese Saito Kinen Festival, in scena dall’8 al 15 novembre). E’ una vera chicca non soltanto perché in Italia la rappresentazione scenica del lavoro è una rarità (negli ultimi 15 anni si è vista al Festival di Spoleto, alla Fenice ed alla Scala) ma poiché la bacchetta è affidata al 74nne Seiji Ozawa e la regia a Laurent Pelly (uno degli astri del teatro europeo).
Andiamo ai fumetti che portarono il sessantenne ateo devoto ed un pò teo-con (aveva composto un’intensa “Ave Maria” e stava progettando una grandiosa “Messa Glagolitica”), nonché in crisi erotico-sentimentale per la bella Kamila Stösslová, a mettere in berlina la società morava. Si era attorno al 1920, più o meno nel periodo in cui Walt Disney inventava Topolino e gettava le basi per quella che sarebbe stata una delle maggiori multinazionali dell’entertainment “formato famiglia”. Sul “Lidové Noviny” (“Quotidiano del Popolo) di Brnó, capoluogo della Moravia nella giovane Repubblica Cecoslovacca, appariva ogni giorno una puntata di un romanzo sterminato di Rudolf Téšnohlídek, cronista giudiziario dai sentimenti vagamente anarchici, orientato verso l’avanguardia e caratterizzato da poca simpatia per la burocrazia e la magistratura, specie se giustizialista. Mentre i fumetti di Disney erano antropomorfici e seguivano rules and mores dalla middle class americana, le strisce disegnate di Téšnohlídek giustapponevano il modo ipocrita degli uomini (il curato, il maestro ed il guardiacaccia si ubriacano ogni sera ed il venditore ambulante ha il fucile facile) con quello libero e sensuale del bosco. Da questo spunto, Janáček scrive il libretto e compone la musica di un lavoro di 90 minuti in tre atti in cui non solo perbenismo moraleggiante viene contrapposto alla libertà della natura ma si esalta la vita che scorre, che non può essere piegata agli editti della carta bollata in quanto si basa il proprio rinnovarsi sulla forza immensa delle proprie regole eterne (meglio comprese e seguite nel bosco che nella cittadina). Di queste regole, la più profonda (e la più irritante per i borghesi piccoli-piccoli) è l’amore che con la sua fisicità è l’eterna molla del rinnovamento. Nulla di trascendente - Janáček , va ribadito, componeva Messe ed Ave Maria da ateo devoto – ma la stupenda forza dell’umanità che conta più dei singoli individui (ed il bosco lo ha metabolizzato meglio della città). Nel 1924, quando debuttò a Brnó, La Piccola Volpe Astuta” fu un grande successo, anche a ragione della popolarità dei fumetti di Téšnohlídek. Furono necessari, però, molti lustri perché la sferzante satira raggiungesse i palcoscenici dei maggiori teatri europei ed americani: fondamentale un’edizione diretta da Walter Felsenstein nel 1957 alla Komische Oper di Berlino, quindi in quella che era la Repubblica Democratica Tedesca (dove il contrasto tra vitalità del bosco e della volpe astuta con il grigiore del curato, del maestro, del guardiacaccia e del venditore ambulante lanciavano messaggi molto eloquenti). E validi ancora oggi. Non solo nella ex-Germania Orientale.
La partitura è un magico equilibrio tra il melodismo nostalgico slavo ed il sinfonismo pagano di Richard Strauss . Si avverte un’influenza di Debussy (del quale Janácek conosceva bene sia La Mer sia Pelléas ) sull’orchestrazione. Massimo Mila ha parlato di “un ininterrotto mormorio della foresta”, inafferrabile e inclassificabile, nutrito di ingredienti anche diversi da quelli del sinfonismo di Strauss, e provvisto di temi di assoluta originalità, nonché di delicatezza impressionistica e di calligrafismo sonoro da ‘Ravel campagnolo’. Vale un viaggio.
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