Il dibattito sulla riduzione dell’Irap ha innescato una discussione politica da considerare salutare se tenuta nell’ambito della maggioranza nel rispetto relativo delle competenze reciproche di governo e di Parlamento. Il nodo centrale della politica economica non è se ridurre la pressione tributaria e paratributaria (come promesso da Silvio Berlusconi sin da quando andò al governo nel 2001) ma come farlo. In tempi non sospetti, ossia circa 15 anni fa, Pierluigi Ciocca, economista serio e rigoroso ma mai contiguo al centro-destra, curò un libro dal titolo Disoccupazione di fine secolo in cui sin dalla prefazione metteva in risalto come, con la pressione fiscale in atto, per il Vecchio Continente, sarebbe stato impossibile competere con aree dove tale pressione è attorno al 20% del Pil (Asia) ed aree in cui sfiora il 30% del pil (Nord America).
La prospettiva di una riduzione della pressione fiscale complessiva nella vicina Germania rende ancora più urgente una riflessione a cui facciano seguito se non decisioni quando meno una road map per giungere all’obiettivo prima che sia troppo tardi. A riguardo è utile ricordare che, secondo il servizio studi della Banca centrale europea (BCE), con la nostra pressione fiscale e struttura demografica, siamo condannati ad un potenziale di crescita annua massima dell’1,3%, anche in tempi in cui nel resto del mondo c’è bel tempo. Una riduzione del prelievo è difficile in anni di vacche grasse quando l’economia tira ed è più semplice contenere la spesa pubblica (ad esempio, c’è meno esigenza di spese per ammortizzatori sociali). Lo è molto di più in anni di vacche magre (in quanto alla spesa ordinaria si aggiunge quella per il sostegno dei redditi di chi perde lavoro e di chi scende al di sotto della “soglia di povertà”). Mario Baldassarri ha presentato una proposta organica ad un convegno organizzato il 24 settembre dall’Associazione Economia Reale , da lui presieduta, e ha presentato una serie di emendamenti al disegno di legge di bilancio in discussione al Senato. Tanto la proposta quanto gli emendamenti si basano un parallelismo su riduzione e rimodulazione della spesa pubblica e riduzione della pressione fiscale. Il rettore dell’Università Bocconi, Guido Tabellini, ha fatto propria la proposta di ridurre l’Irap (sino ad eliminarla) e ha risposto alle obiezioni con un editoriale su Il Sole-24 Ore di domenica 25 ottobre. Tabellini non ritiene necessaria, nell’attuale congiuntura economica, un parallelismo tra riduzione delle tasse e riduzione della spesa (pur se auspica che anche quest’ultima venga contenuta).La road map è tanto più necessaria perché cincischiare di “affamare la bestia” tagliando le tasse è futile se non si fissano alcuni punti fermi di medio periodo e se nel breve periodo non si fa piazza pulita dell’Himalaya dei residui passivi e del labirinto delle “contabilità speciali” . I punti fermi di medio periodo possono essere due.Innanzitutto, il varo di una norma, meglio se costituzionale, di “sunset legislation” in base alla quale qualsiasi norma (o almeno qualsiasi norma che comporta spesa) decade se entro un certo numero di anni (cinque-sette) non viene di nuovo approvata dall’autorità deliberante preposta (Parlamento, Consiglio regionale, Consiglio provinciale o Comunale). In tal modo si porrebbe fine, in un arco ben definito di tempo al groviglio di 100-150.000 norme (nessuno sa quante sono) che comportano spese pubbliche e si disporrebbe di una tavola di bordo essenziale per fare ordine.E poi, imporre, come fece la prima amministrazione Reagan tramite una norma mai cambiata dalle Amministrazione che in questi 30 anni le sono succedute, che qualsiasi provvedimento dello Stato e della autonomie sia corredato da una rigorosa analisi dei costi e dei benefici all’erario e alla collettività, che tali analisi vengano pubblicate e vagliate se del caso da autorità indipendenti. Un percorso analogo – il Programme de rationalization des choix budgettaires – è stato attuato, con successo in Francia, negli anni 80 e 90 ed ha rimesso in sesto la finanza pubblica francese, un tempo molto sbrindellata.A queste due indicazioni pratiche che possono portare al contenimento di spesa e di prelievo tributario in un arco anche breve di tempo, occorre aggiungere la necessità e l’urgenza di liberalizzare il settore dei servizi (le cui regole sono, però, soltanto in parte nelle competenze dell’amministrazione centrale dello Stato, quindi di Governo e Parlamento: dipendono in gran misura dalle autorità locali, specialmente i comuni). Un’analisi econometrica del servizio studi della Banca d’Italia suggerisce che ciò potrebbe dare un forte impulso alla crescita economica, neutralizzando, in parte, la perdita di gettito da imputarsi alla riduzione della pressione fiscale. 27 ottobre 2009
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