Roma, 28 ott (Velino) - I dati della Banca centrale europea (Bce) sul calo dei prestiti in settembre nell’area dell’euro (per la prima volta dal 1992) pongono numerosi interrogativi. Da un lato, come hanno scritto molti commentatori, ci si chiede se il settori del credito sia ancora tanto fragile da non poter assicurare la ripresa dell’economia reale e da richiedere invece nuove vitamine (ossia interventi da parte di Pantalone a sostegno delle banche) per dribblare una potenziale nuova crisi, annidatasi dietro l’angolo. E’ una domanda per molti aspetti banale ed a cui è facile dare una risposta. I più recenti dati Ocse mostrano che (alla faccia del trattato di Maastricht e del patto di stabilità!) : a) nell’area dell’unione monetaria europea lo stock di debito pubblico in rapporto al pil è passato dal 36,3 percento al 57,9 percento dal 1991 ad oggi; b) l’impennata (dieci punti percentuali) è avvenuta del 2007 e ; c) è in gran parte da attribuirsi ad “anticipi” (di varia guisa e sorta) delle banche centrali al comparto del credito. Non migliore il quadro Usa: un aumento del rapporto debito:pil dal 32,7 percento al 59,5 (con oltre 15 punti percentuali dal 2007).
Da un altro, il nodo non riguarda solamente i Paesi ad alto reddito medio dell’Ocse. In parallelo quasi con il lavoro Bce e i rapporti Ocse , il Centre for European Policy Research di Bruxelles ha diramato, ai propri abbonati, un’analisi condotta dalle Università di Tilburg, di Richmond e della Georgia, relativa a 45 Paesi (quindi includendone pure emergenti ed in via di sviluppo). Non solo lo studio conferma la fragilità (secondo alcuni) o l’avarizia (secondo altri) delle banche ma scava più a fondo su quella che la shakespeariana Porzia de Il Mercante di Venezia avrebbe chiamato the quality of lending, la qualità dei prestiti rispetto ad exit strategies di crescita. La conclusione generale può non piacere a molte anime belle e pie: a) c’è una forte correlazione tra credito alle imprese ed attività economica, mentre non se ne riscontra una analoga per il credito alle famiglie; b) il credito alle imprese riduce i differenziali di reddito, mentre quello alle famiglie è, in questo campo, o neutrale o regressivo; c)il credito alle famiglie è associato negativamente con una reattività eccessiva delle spese per consumi mentre non si riscontra analoga reattività per il credito alle imprese. Quindi, è l’andamento anemico del credito alle imprese a non promettere nulla di buono.
L’insidia più pericolosa è messa in luce in un lavoro di Daniele Archibugi e Andrea Filippetti del Cnr. La crisi in corso dal 2007 non ha innescato in Europa un processo schumpeteriano di “distruzione creativa”: utilizzando lo European Innovation Scoreboard e la Innobarometer Survey, Archibugi e Filippetti rilevano che le attività più penalizzate sono quelle d’innovazione tecnologica e di ricerca “adattiva” (ossia dell’adattamento delle ricerche di base effettuate altrove alle specifiche delle imprese e dei mercati europei) con effetti di rallentamento di lungo periodo in vista per numerosi Paesi Ue. L’Italia è colpita non solamente più di Paesi europei (Germania, Austria, Svezia, Danimarca, Filandia, Svizzera) solitamente all’avanguardia tecnologica ma anche di alcuni Paesi neocomunitari (Bulgaria e Slovacchia) le cui imprese hanno stabilito un rapporto diretto con gli Usa e con “l’aristocrazia” degli innovatori europei. Il colpo è particolarmente duro per le imprese di medie dimensioni.
Come spiegare il fenomeno alla luce del fiume di denaro dagli istituti d’emissione alle banche? La Economists’ Voice – periodico in abbonamento creato diversi anni da Joseph Stiglitz ed ispiratore di un analogo servizio italiano di analisi economica- sostiene da un paio di mesi che , nonostante la crisi e gli aiuti, le banche non hanno ripreso la loro funzione di raccolta di risparmio da utilizzare per prestiti a chi crea produzione e benessere ma sono tornate ai “giochi di denari” in parte alle radici delle varie bolle. Particolarmente duri i radical economists , ora raccolti nel cenacolo costituito dal giovane Steve Keen all’Università di West Sidney in Australia.
Negli Usa una forte corrente di pensiero chiede la re-introduzione del Glass-Steagal Act del 1933 con cui si separavano nettamente banche commerciale da banche d’investimento, finanziarie, istituti polifunzionali, e quant’altro. Se ne comincia a parlare, con un punta di nostalgia rivolta (però) all’avvenire, anche nel continente vecchio.
(Giuseppe Pennisi) 28 ott 2009 15:50
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