Il “mese” verdiano – ottobre, quello in cui nacque il compositore – si conclude con una produzione di “Simon Boccanegra” al Teatro Massimo di Palermo. Oltre al Festival di Parma ed alla “trilogia” popolare fiorentina (di cui al “Dom” del 17 ottobre), il mese è stato caratterizzato da una vera e propria pletora di messe in scena (spesso riprese) di “La Traviata”
“Boccanegra” è stata una delle più “maledette” tra le “opere maledette” di Verdi. Fu un tonfo alla “prima” a La Fenice nel 1857; rimaneggiata nel libretto e nella musica, ebbe esiti modesti nelle riprese a Reggio Emilia, Milano, Napoli e Firenze nel 1858-59. Ripensata, con l’aiuto di Arrigo Boito che rimise mano a parti essenziali del libretto, fu un successo di breve durata quando la versione adesso corrente raggiunse La Scala nel 1881. Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento e nella prima metà del Novecento, venne dimenticata; Gino Marinuzzi, consapevole che si trattasse di un capolavoro unico nel teatro verdiano ed europeo più in generale, tentò di rilanciarla, a Roma, nel 1934. Da allora, “Boccanegra” ha ripreso un lento cammino, giungendo alla consacrazione internazionale vera e propria all’inizio degli Anni 70 grazie a due edizioni eccellenti, ma molto differenti: quella di Gianandrea Gavazzeni, tragica, cupa, quasi infernale (ascoltabile in un mirabile cd della Rca, nettamente superiore ad una sempre curata da Gavazzeni pochi anni prima), e quella di Claudio Abbado, invece, dolce, densa di colori chiari e di volumi leggeri (impareggiabili le evocazioni marine) che in un allestimento di Strehler e Frigerio ha viaggiato il mondo (anche Londra, Parigi, Mosca, Washington e Vienna) ed è disponibile in cd e in DvD..
La “maledizione” di “Boccanegra” è da imputarsi ad un libretto intricatissimo ed ad una partitura bifronte, rivolta in parte verso il passato ma pure lanciata verso l’avvenire (si pensi all’impiego dei fagotti e del clarinetto basso, inconcepibile senza l’esperienza wagneriana). Sfoltito da tutti i ciarpami del melodramma ottocentesco, “Boccanegra” è un sofferto apologo sulla politica “bassa” e sulla famiglia. La vicenda ha poco a vedere con la storia del Simon Boccanegra che fu , in effetti, il primo Doge di Genova poiché romanzata a tinte forti, come era costume della letteratura popolare dell’epoca. Il “corsaro” Simone, uomo del mare (da dove scaccia i saraceni che mirano a pirateggiare nelle coste tirreniche), è costretto ad entrare in politica nella speranza di potere sposare la donna amata, di stirpe patrizia. Diventa, quindi, Doge ma la sua donna muore e la loro figlia viene rapita. Per un quarto di secolo esercita il potere diventando sempre più solo, e sempre più lontano dal suo mare. Ha una visione politica “alta” ma è preso nella trappole di una politica “bassa”, fatta di nepotismi , di favori, di intrighi, di colpi bassi. Quando ritrova la figlia e quando scopre affetto paterno per il giovane di cui lei è innamorata, è troppo tardi: il gioco del potere lo annienta, mentre sta per riavvicinarsi al suo mare. A questo dramma “privato”, se ne affianca uno “pubblico”: la lungimiranza politica di Boccanegra, l’appello alla fine delle guerre tra Genova e Venezia ed il sogno di un’Italia unita, non è compreso né dai patrizi né dai plebei ed anzi innesca l’intrigo di tradimenti che porta alla catarsi finale, illuminata dalla speranza che suo genero potrà continuare sul suo cammino.
L’allestimento di Giorgio Galllione ha debuttato circa due anni fa a Bologna: mostra una Genova in bianco e nero in cui elementi scenici essenziali contrassegnano i vari ambienti. Allora, l’attenzione era puntata sulla direzione musicale affidata a Michele Mariotti, 28nne enfant prodige, che offrì una lettura della partitura è puntuale, ma monocorde, priva sia della brezza marina (che pervade la scrittura orchestrale) né i momenti di maggiore intensità lirica (il primo quadro del primo atto). A Palermo la direzione musicale è affidata ad un maestro concertatore di grande esperienza: Philippe Auguin, reduce di trionfi wagneriani a Vienna. Tra le voci il Boccanegra di Roberto Frontali si confronta con un Jacopo Fiesco di lusso, Ferluccio Furlanetto ed al diabolico Paolo Albiani dà voce e volto Ventseslav Anastasov. Maria è una Amarilli Nizza in grande spolvero e Adorno un Walter Fraccaro “spinto” come si deve. Un ottimo modo, in breve, di chiudere il “mese verdiano”.
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