Tre ragazze (non proprio adolescenti) da dieci anni si sono messe in testa di salvare quella italianissima forma di spettacolo che è l’opera lirica. Non hanno mai avuto un euro da Pantalone. La stampa italiana si è occupata poco e raramente della loro avventura. La vicenda ha, però, interessato il “New York Times” ed alcuni dei maggiori quotidiani giapponesi (oltre ad alcune riviste specializzate). Da qualche tempo, per qualche mistero doloroso, dal sito www.operabase.com (il più consultato dai melomani di tutto il mondo , specialmente da quelli che viaggiano da teatro in teatro) è sparito il link al Teatro dell’Opera di Roma ma si accede a quello del loro teatrino (www.piccolalirica.com) . Appena 150 posti, in una stradina (Via Santo Stefano del Cacco) tra Largo di Torre Argentina, Piazza della Minerva e Piazza del Collegio Romano- il cuore della Roma turistica. La sala e la galleria (restaurate e diventate un elegante salotto) sono sempre piene; due terzi del pubblico è straniero – acquista i biglietti (a prezzi contenuti) via Internet- numerosi soprattutto i giapponesi e gli americani.
Il Piccolo Teatro Lirico romano non si pone in competizione con la Scala, il San Carlo, il Teatro dell’Opera di Roma. Ha alcune caratteristiche particolari messe a punto in anni di sperimentazione dalle tre ragazze: Rosanna Siclari, impresario e regista, Gianna Volpi, scenografa, e Elisabetta Del Buono, direttore musicale e maestro concertatore. In primo luogo, lo spettacolo deve essere, per utilizzare il linguaggio dell’informatica, “user’s friendly” – amico nei confronti dello spettatore. Inizio alle 20 in punto e termine alle 21,30 per dare modo di andare a cena nei ristoranti e trattorie sparpagliati nella vecchia Roma. Attenzione pure al pluridecorato (e costosissimo) Festival di Bregenz (ai confini tra Austria e Svizzera) si usano le forbici perché lo spettacolo (quale che sia l’opera) sia trasformato in un atto unico di due ore.
In secondo luogo, l’opera (anche se ridotta) viene presentata con tutti i suoi elementi essenziali ma adattati ad una sala piccola. I cantanti sono giovani e sanno recitare (i protagonisti della prima messa in scena , una “Traviata” del 1999, salgono da un lustro sui maggiori palcoscenici). Le scenografie sono di lusso ma virtuali grazie a proiezioni computerizzate ed integrazioni con filmati. In “Tosca” (ha avuto già 400 repliche in quel di Via Santo Stefano del Cacco) siamo portati a Sant’Andrea della Valle, a Palazzo Farnese ed a Castel Santangelo da riproduzioni al tempo stesso fedeli ai luoghi e visionarie, assistiamo alla fuga in carrozza di Tosca dopo avere accoltellato Scarpia e, mentre suonano le note dell’introduzione, all’entrata furtiva di Angelotti in Chiesa. In “Madama Butterfly” le scene portano il segno della storia della pittura giapponese da Tawara Sotatsu all’avanguardia delle ultime Biennali d’Arte contemporanea. E l’orchestra? Benjamin Britten, consapevole delle difficoltà sempre più severe di un comparto destinato a perdere competitività rispetto ad altre forme di spettacolo dal vivo, riscrisse i propri capolavori per grande organico orchestrale (ad esempio, “Billy Budd”) in edizioni per due pianoforte (tagliando alcune scene e qualche personaggio). Elisabetta Del Buon dirige un orchestra di cinque professori di piano ciascuno alla tastiera di un sintetizzatore elettronico giapponese (la Japan Electronic Keyboard Society patrocina l’operazione) ; grazie alla tecnologia digitale audio ed ai sistemi informatici MIDI, la Synth Lyric Orchestra (è questo il nome della formazione) simula un organico di 60-70 elementi. La stagione 2009-2010 si estende dal primo ottobre al 12 giugno e , di un repertorio di sette opere, presenta solo “Tosca” e “Butterfly”, alternandole con concerti vocali (sempre in scenografie visionarie e virtuali).
Molta critica italiana ha trattato con sufficienza questa ormai consolidata esperienza. Non solo Britten ma anche Giancarlo Menotti vedeva che l’opera sarebbe sopravvissuta unicamente facendo una cura dimagrante e “riscoprendo l’intimità dei piccoli teatri”. La testata americana “Opera Today”, forse la più letta al mondo (nel settore), ha dedicato a metà settembre un lungo servizio al “ritorno alle origini” , all’”opera da camera”, al fine di sopravvivere. Coniugare “live electronics” con voci e scenografie virtuali è probabilmente ciò che avrebbe fatto lo stesso Wagner per evitare che ad ogni messa in scena del suo “Anello del Nibelungo” il teatro che se ne prendeva carico finisse in dissesto. Infine il pubblico; assaporare la versione ridotta con “live electronics” è spesso la strada per andare (quando si è grado di pagare i cari biglietti) un giorno alla Scala.
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