Le strategie per uscire da una crisi economica dello spessore e della durata dell’attuale comportano inevitabilmente difficoltà per alcuni strati sociali. Quale che sia il percorso, infatti, implicano una selezione tra imprese in cui quelle più deboli soccombono. Mentre se ne formano di nuove (e si rafforzano alcune più quelle comparativamente più robuste) il numero dei senza lavoro aumenta. In aggiunta, a ragione del fenomeno chiamato “isteresi” dagli economisti (con un termine preso in prestito dalla fisica), c’è sempre un lasso di tempo abbastanza lungo dalla ripresa della produzione a quella della occupazione. Infine, crisi anche di proporzioni minori dell’attuale hanno un effetto di compressione sui salari reali. In breve, se in una famiglia di quattro persone, una perde il lavoro e il salario dell’altra si riduce, anche di poco, in termini reali, diventa davvero difficile arrivare alla fine del mese.
I 20 maggiori istituti econometrici internazionali prevedono che il tasso di disoccupazione in Italia supererà il 9% (oggi siamo attorno al 7,5%) entro la fine del 2010; anche se il nostro sistema produttivo ha dimostrato di reggere meglio di altri lo tsumani finanziario e la contrazione dell’economia reale, un’analisi di un gruppo di università tedesche (Cesifo Working Paper n. 2788) su 20 Paesi Ocse (inclusi i maggiori Paesi Ue) indica che c’è un disoccupazione indotta che viene dal contagio con i nostri vicini: in breve gli altissimi tassi disoccupazione della Spagna e quelli molto elevati della Francia tracimano pure sul nostro mercato del lavoro. In questo contesto, la strategia per uscire dalla crisi necessita di essere accompagnata da misure per dare sollievo a quelle fasce che pagano un prezzo particolarmente alto.
E’ in questa ottica si deve leggere la moratoria in soccorso dalla famiglie lanciata dall’Abi a pochi mesi di distanza di una serie di provvedimenti analoghi varati a favore delle imprese. Sono tasselli di un disegno più ampio che comprende la “social card”, l’espansione degli ammortizzatori sociali anche facendo ricorsi a fondi europei, la collaborazione, in molti settori, tra datori di lavori e sindacati per giungere alla conclusione di contratti collettivi scaduti da tempo. Il disegno ha limiti precisi, ma essenziali: l’obiettivo è di portare sollievo all’ammalato non di curarlo, nella consapevolezza che la terapia richiede un riassetto profondo di prassi (oltre che di regole) che non riguarda solamente l’Italia ma l’intera comunità internazionale.
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