domenica 25 ottobre 2009
Ma quello dell'immigrazione è un nodo che si può sciogliere FFwebmagazine 25 ottobre
Non ho partecipato al seminario di Asolo sui temi dell’immigrazione; e, quindi, le mie informazioni sulla riunione si limitano a quanto letto sulle cronache dei giornali. Tuttavia, avendo lavorato su queste tematiche per alcuni anni, a me sembra che le differenze di punti di vista all’interno della maggioranza, e tra governo ed opposizione, siano drammatizzate più del necessario. Alla drammatizzazione contribuiscono, senza dubbio, le cronache, un tempo quotidiane e ora fortunatamente più rare (grazie all’azione svolta dall’esecutivo e da tutte le amministrazioni), di tentativi di sbarchi sulle nostre coste da parte di traghetti improvvisati. Aggiungono benzina sul fuoco i dati purtroppo sempre più eloquenti sul nesso tra criminalità (a vari livelli) e alcune comunità di “non regolari” o di neocomunitari, nei cui confronti il governo Prodi non ha adottato le misure prese da quasi tutti gli altri Stati di quella che era l’Unione europea a 15.L’Italia si è posta relativamente tardi il problema dell’immigrazione: poco più di vent’anni fa, chi scrive ha realizzato un libro sull’argomento e ha trovato solo un editore specializzato di Amburgo disposto a pubblicarlo (in lingua inglese!). Come ricordato il 14 settembre su questo webmagazine, eravamo un paese di emigranti sino a tempi relativamente recenti; soltanto negli Anni 80 ci siamo accorti di essere diventati una calamita di immigrazione.La disciplina economica (dai modelli di Arthur Lewis degli Anni 50 e quelli di John Harris e Micheal Todaro dell’inizio degli Anni 70) ci avvertiva che la svolta stava per arrivare e che le politiche pubbliche hanno pochi strumenti per pilotare e contenere il fenomeno. Per tre lustri abbiamo ondeggiato tra velleitarismo e buonismo, senza neanche renderci conto di alcuni segnali chiari e forti. Ad esempio, nel lontano ottobre 1965 a Islamabad, la conferenza panislamica ha deliberato di islamizzare l’Europa prendendo come testa di ponte proprio l’Italia a ragione della sua configurazione geografica e della fragilità delle sue strutture amministrative di controllo. Questa dimensione politica si aggiunge alle forti determinanti economiche che spingono a migrare dove le opportunità sono migliori, nonché alle asimmetrie informative che gonfiano ulteriormente tali opportunità nella percezione di chi è in paesi a basso reddito: nei Balcani e nel Bacino del Mediterraneo si crede che l’Italia sia quella degli “show” televisivi (che si captano bene), così come nella prima metà degli Anni 50 molti italiani pensavano che gli Usa fossero quelli delle commedie di Doris Day.Finalmente, abbiamo varato un provvedimento (la legge Bossi-Fini) che tenta di controllare i flussi. Ci troviamo, però, con coste colabrodo e con una pubblica amministrazione che ha serie difficoltà oggettive a padroneggiare i complicati aspetti dell’immigrazione clandestina. Per definire una strategia possibile, occorre avere alcuni punti fermi che facciano da stella polare alla eventuale stesura di ulteriori provvedimenti normativi oppure di misure amministrative. I punti seguenti possono fornire un tracciato.In primo luogo, occorre ricordare che, nonostante il processo di secolarizzazione degli ultimi trent’anni, nell’Italia e negli italiani è profondamente radicata l’etica cristiana. Giova riflettere su questo aspetto sia del problema sia delle possibili soluzioni, non per moralismo di maniera o per garbo, ma per mero tornaconto elettorale. Giova particolarmente alla Lega perché le Regioni del Nord, il bacino di voti del partito guidato da Umberto Bossi, sono quelle dove l’etica cristiana ha radici più forti. I suoi elettori avrebbero difficoltà a comprendere posizioni in contrasto con un codice non scritto ma proprio per questo molto cogente. Ciò non vuole dire tornare al velleitarismo buonista d’accatto e ai travisamenti della virtù della carità. L’etica cristiana, che ha sua espressione anche e soprattutto nell’etica dell’operosità e del lavoro, è, innanzitutto, etica della responsabilità. Il corollario sta nell’affrontare le malmesse carrette non con cannonate ma con responsabilità e rigore.In secondo luogo, affrontare il tema con responsabilità e rigore vuole dire rimandare chi non è in regola all’ultimo porto d’imbarco da dove è venuto (è praticamente impossibile determinare l’origine iniziale del viaggio e ancor meno quella statuale o nazionale). Ciò significa essere pienamente in linea con il Diritto internazionale (altro punto fondante) e con i trattati bilaterali conclusi con molti paesi perché controllino chi parte dalle loro sponte. Occorre, però, “dare denti” a questi trattati. Se la pubblica amministrazione nostrana ha serie difficoltà oggettive, immaginiamo quali sono quelle in cui versano le pubbliche amministrazioni di Tunisia, Libia, Marocco, Turchia, e via discorrendo. Si potrebbe pensare a destinare esclusivamente a questo scopo, per alcuni anni, gli stanziamenti fattibili a titolo di cooperazione allo sviluppo dell’Italia. Tanto più che non pare esista nessuna valutazione di livello di vent’anni di aiuti bilaterali dell’Italia; inoltre, per alcuni esercizi di bilancio, le agenzie e le burocrazie internazionali possono accontentarsi di ricevere dall’Italia solo i contributi obbligatori (visto che da altri paesi, Usa in prima linea, non ottengono neanche questi). Rafforzando i servizi pertinenti delle ultime amministrazioni dei paesi dell’ultimo imbarco, da un lato si limiterebbero gli imbarchi e dall’altro si darebbe a queste amministrazioni la possibilità di ri-inviare i clandestini là da dove sono (più o meno) inizialmente venuti. È utile ricordare che per anni la sede di Reggio Calabria della Scuola superiore della pubblica amministrazione (Sspa) è stata destinata utilmente a questo scopo – ossia alla formazione di quadri delle amministrazioni dei paesi in via di sviluppo (Pvs); tale attività è stata dismessa ma potrebbe essere ripresa e finalizzata e migliorare la capacità delle amministrazioni dei Pvs più direttamente collegate al fenomeno.In terzo luogo, la Costituzione della Repubblica deve continuare a essere uno dei punti essenziali in cui incastonare provvedimenti normativi e misure amministrative. È la Costituzione garantista di un paese che non si chiude a quella parte del mondo che è rispettosa delle nostre regole, ma non tollera approssimativi “bla bla” nei confronti di chi non le segue e ha comportamenti illegali e delinquenti. Last but not least, occorre risolvere problemi puntuali e urgenti tra cui quello della nazionalità dei figli, nati sul nostro suolo, di immigrati in regola con tutte le prescrizioni di legge e di facilitazione a un inserimento che – piaccia o non piaccia – è inevitabile (e, a mio avviso, è auspicabile). Ciò comporta ridurre i tempi per la concessione della cittadinanza, prevedere per i residenti (anche se non cittadini) la partecipazione alle elezioni amministrative, adeguare i programmi scolastici per facilitare l’italianizzazione, consentendo, però, anche il mantenimento di alcuni valori di fondo (quali quelli spirituali) dei luoghi di origine.25 ottobre
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