Ancora una volta la cultura e l’arte si presentano come la leva per il rilancio di un territorio. E’ questo il caso della rinascita di Palermo attorno al “suo” Massimo, il magnifico teatro costruito alla fine dell’Ottocento su un progetto dell’Architetto G.B. Filippo Basile in quella che allora era il cuore nei nuovi quartieri eleganti della città , inaugurato (con “Falstaff” di Verdi) il 16 maggio 1897, chiuso per restauri per circa un quarto di secolo e riaperto nel maggio 1997.
Il Massimo è stato travagliato da deficit e debiti crescenti sino al 2004. Nel 2002 aveva un disavanzo di 13 milioni di euro ed uno stock di debito 26 milioni di euro. Cifre da minacciare commissariamento ove non sospensione delle attività. Lo stock di debito viene gradualmente ripianato tramite un mutuo (da rimborsare su un periodo di 20 anni). Una politica artistica basata su co-produzioni con i maggiori teatri italiani e esteri, e presentazione di “prime” assolute per l’Italia, nonché coniugata con ferree economia di gestione ha fatto sì che il bilancio consuntivo del 2006 abbia riportato un saldo attivo di 4,3 milioni di euro destinato a coprire le perdite pregresse. Il saldo finanziario attivo rispecchia anche l’aumento di rappresentazioni e di presenze, segno di rinnovato interesse della città per il “suo” principale teatro. Tale interesse è dimostrato dall’apporto degli sponsor. Dal 2007, inoltre, il Banco di Sicilia, eroga 1.3 milioni di euro di contributi l’anno ed è entrato come socio privato nella fondazione. Il successo del Massimo ha trascinato altre arti dal vivo: nonostante Palermo sia città in serie difficoltà di crescita del valore aggiunto e del reddito ed abbia uno tassi di disoccupazione più alti in Italia, negli ultimi anni sono stati aperti tre teatri: il Nuovo Montevergine, il Kalsart ed il Teatro del Barocco a Palazzo Bonagia. Il Sindaco Diego Cammarata sottolinea come l’affluenza sia ottima; naturalmente, le tipologie di pubblico sono differenti , elemento incoraggiante per la diffusione della cultura nei ceti più diversi.
Dal Sovrintende del Massimo, Antonio Cognata – che è, in primo luogo, un professore di economia politica di formazione americana in quanto allievo di William Baumol (a New York University) – è partita la proposta di impiegare per il riparto del Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus) tra le fondazioni liriche e sinfoniche un metodo analogo a quello utilizzato, con esiti lusinghieri, per i Fondi strutturali europei: incentivare le fondazioni virtuose (con bilanci consuntivi in attivo) con una “premialità”, ossia uno stanziamento addizionale che permetta loro di migliorare ulteriormente la qualità dell’offerta nella stagione successiva e di converso, disincentivare i bilanci in perdita, con una riduzione dello stanziamento nell’esercizio seguente. Una proposta liberale e di mercato, diretta ad incoraggiare chi segue meglio le regole e porta a casa i risultati finanziari migliori, senza trascurare quelli artistici (anzi esaltandoli) Di tale proposta, non c’è, però, nessuna traccia nella bozza di decreto che modifica i criteri per la ripartizione del Fus.
La “stagione” 2007 del Teatro Massimo di Palermo si sta concludendo con tre sfide: la prima esecuzione scenica, nel capoluogo siciliano, di “Medea” di Luigi Cherubini, (in un allestimento co-prodotto con il Théâtre du Capitole di Tolosa) grande “tragédie lyrique” del 1797 ignorata per decenni sino a quando venne rilanciata da Maria Callas negli Anni Cinquanta un nuovo balletto di Lorenzo Ferrero su “Franca Florio, regina di Palermo” (che rievoca quindi la grandezza della Palermo liberty all’inizio del Novecento”), e “Norma” di Vincenzo Bellini, co-prodotta con il “Massimo” di Catania, la prima volta dall’istituzione dei due teatri (spesso visti come concorrenti e rivali) in cui le risorse finanziarie ed artistiche dei due enti vengono messe insieme per quello che si annuncia come un grande allestimento di portata internazionale. Una stagione di grandi soddisfazioni, aperta il 14 novembre 2006 con “Genoveva” di Robert Schumann (che in Italia era stata messa in scesa un’unica volta (e per una sola sera) nel corso di un festival nel 1951) e culminata con una tournée estiva in Giappone (il “Massimo” non usciva dai suoi confini dal 1972). Nel Sol Levante, il teatro ha portato a Otsu e Tokio un allestimento grandioso de “I Vespri Siciliani” (è stata la “prìma” di questi titolo in terra nipponica), unitamente alla sua recente produzione di “Cavalleria Rusticana” e “Pagliacci”, ed ad un concerto lirico sinfonica. La tournée è costata 2 milioni di euro circa ed è stata interamente finanziata dal maggior gruppo editoriale giapponese , lo Ashai Schimbun.
In parallelo, il Massimo ha ampliato il proprio pubblico tramite un programma mirato ad avvicinare alla “musa bizzarra e altera”, l’opera lirica, i giovani. Nel 2006, è stato organizzato un programma che coinvolge 160 scuole di Palermo e dell’hinterland e che ha portato in teatro per una diecina di recite complessivamente circa 25.000 bambini e ragazzi introducendoli a spettacoli che possano divertirli (come il donizettiano “Don Pasquale”). E’ uno strumento importante perché un prodotto nato e sviluppato in Italia (e che nell’Ottocento ha avuto nel nostro Paese il suo maggior successo commerciale, oltre che artistico) non impoverisca e non impoverisca, per creare quel “sottostante” di cultura musicale che rende possibile il fiorire della lirica in altri Paesi (Europa Centrale ed Orientale, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Penisola Iberica) ed il crescente interesse in Asia.
La stagione 2008 unisce , come le precedenti, innovazione (che attira pubblico dal “continente” e pure dall’estero) con quelle opere di tradizione che portano grande pubblico da tutta la Sicilia occidentale (gli orari degli spettacoli sono particolarmente tarati a consentire il ritorno nelle città di origine in serata). L’inaugurazione è innovazione: “Mefistofele” di Arrigo Boito che non si rappresenta a Palermo da 40 e , nonostante sia popolarissima all’esteri, negli ultimi venti, in Italia, vista unicamente alla Scala, a Genova e nella piccola, ma coraggiosa, Chieti . E’ lavoro che richiede un grande impegno produttivo e che meglio di alte opere tenta di afferrare lo spirito del “Faust” di Goethe. Altre novità di rilievo: “The rake’s progress” di Stravinskij e “Da una casa di morti” di Janaceck (che arriverà alla Scala nel 2009). Tra i titoli più tradizionali, “Anna Bolena” di Bellini, “Manon Lescaut” e “Il Trittico” di Puccini (in occasione dei 150 anni dalla nascita del compositore). nonché “Aida” di Verdi (nell’allestimento intimista immaginato nel 2001 da Zeffirelli per il piccolo teatro di Busseto: la sfida consiste nell’adattarlo ad una delle sale più grandi d’Italia).
Il risanamento ed il rinnovamento, specialmente se di mercato, hanno – come la società aperta, nemici. La prima rappresentazione di “Medea” il 21 ottobre è stata minacciata di uno sciopero di una ventina di tecnici, su circa 450 dipendenti (con rivendicazioni che, se accettate, sarebbero state un cavallo di Troia per una valanga di richieste corporative). Il management ha tenuto duro: se lo spettacolo è stato rappresentato, comunque, ma a scena e luci fisse, tra le proteste del pubblico. Un breve cenno all’alta qualità di questa “Medea”, la cui direzione musicale è stata assicurata dal sessancinquenne Bruno Campanella , con grande perizia tecnica e passione per la complessa partitura, e da un cast interamente di giovani in allestimento scenico che situa la tragedia di Medea nella Francia giacobina del 1797. Ottima la prestazione di Chiara Taigi nel ruolo impervio della protagonista che solo poche hanno affrontato nell’ultimo quarto di secolo; conferma di essere uno dei maggiori soprani drammatici che stanno cominciando a solcare i palcoscenici dei grandi teatri. Generoso Rubens Pellizzari , un Giasone dal timbro chiaro e dal fraseggio pregevole (specialmente al centro),. Un’interessante scoperta Agnes Zweirko (nelle vesti di Neris , confidente di Medea, a cui è affidata una giustamente celebre berceuse). Di livello l’autorevole ed imperioso Creonte di Felipe Bou. Un complimento va al coro guidato da Miguel Fabiam Martinez , la cui funzione è centrale all’opera e che ha cantato in condizioni davvero difficili a ragione dello sciopero dei macchinisti.
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