mercoledì 14 novembre 2007

LA FAMIGLIA CHE FAREBBE CRESCERE L’ITALIA

La radiografia della famiglia italiana , effettuata con particolare cura ogni anno in una sezione del Rapporto dell’Istat su “La situazione generale del Paese”, indica, se esaminata congiuntamente ad altre ricerche, che stiamo viaggiando verso una società di centenari, gran parte dei quali sarà in famiglie composte di una sola persona e senza una rete attiva di rapporti di solidarietà tra consanguinei e congiunti. Una società di questa natura può essere, nell’ipotesi più ottimistica, a crescita zero; nell’ipotesi più probabile in un declino irreversibile con perdita progressiva di produttività e competitività nei confronti di aree e Paesi a struttura demografica più giovane.
Tali stime e proiezioni si ricavano coniugando l’analisi Istat con i risultati di altri ricerche rivolte, invece, al futuro a medio e lungo termine della famiglia e della società italiana. Ad esempio, lo studio di Albert Ando (Mit) e di Sergio Nicoletti Altimari (Bce) su “A micro-simulation model of demographic development and households’ economic behaviuor in Italy” (“Un modello di micro-simulazione dello sviluppo demografico e del comportamento economico delle famiglie in Italia), pubblicato dalla Banca d’Italia, traccia una contrazione della popolazione italiana da 55 milioni (2005) a 25 milioni (fine secolo) se non si tornerà ad una struttura “tradizionale di famiglia” ed ad un aumento del tasso di fertilità. Inoltre, il Premio Nobel Robert W. Fogel della Università di Chicago ha diramato, nella collana del National Bureau of Economic Research (è il working paper n. 11233) un quadro per alcuni aspetti sempre più roseo (vivremo sempre più a lungo) ma per altri sempre più fosco (senza la rete della “famiglia tradizionale” saremo sempre più soli): “Changes in the physiology of aging during the 20th century” (“Cambiamenti nella fisiologia dell’invecchiamento nel 20simo secolo”). Guarda principalmente agli Stati Uniti ed analizza, con un interessante metodo statistico, il processo d’invecchiamento a partire dalla generazione nata tra il 1835 ed il 1845. La conclusione più rilevante è che coloro nati tra il 1980 ed il 1990 hanno un tasso di probabilità del 50% di vivere più di 100 anni. A fine aprile, Alicia Adsera dell’Università dell’Illinois ha pubblicato , nei “dicussion papers” dell’Iza, l’Istituto tedesco per gli studi del lavoro (il “discussion paper” n. 1576 ) un’analisi comparata relativa specificatamente ai 15 Paesi dell’Unione Europea (prima, quindi, dell’allargamento) : “Where are the babies? Labor market conditions and fertility in Europe” (“Dove sono i bambini? Condizioni del mercato del lavoro e fertilità in Europa”). Il lavoro si basa sulle indagini sulle famiglie condotte, o coordinate, dalla Commissione Europea tra il 1994 ed il 2000: il verdetto è che senza un cambiamento delle condizioni del mercato del lavoro (incoraggiamento del tempo parziale ed accesso privilegiato per donne all’impiego nella pubblica amministrazione), le difficoltà a formare una famiglia e l’invecchiamento renderanno l’Europa il Continente vecchio. Con l’allargamento dell’Ue a 27 la situazione non è cambiata; per alcuni aspetti si è aggravata in quanto, a ragione delle politiche (non favorevoli alla famiglia) negli anni del “socialismo reali” evidenziano un problema di invecchiamento anche maggiore di quello dell’Ue a 15 Stati membri.
In questo contesto, le analisi Istat assumono una valenza molto significativa Vediamone alcuni tratti salienti:
· Prosegue il “processo di semplificazione” della famiglia: diminuiscono le famiglie a due o più generazioni (dal 58,8% nel 1993-94 al 53,2% nel 2003); aumentano le famiglie con una sola generazioni (dal 41,3% al 46,8%) e le famiglie composte di una persona sola (dal 21,1% al 25,8%) mentre si contraggono le famiglie composte di coppie con figli (dal 40% al 41,9%). Le persone che vivono in coppia condividono una parte più lunga della loro avventura umana: gli anziani tra i 74 e gli 85 anni che vivono ancora in coppia passano dal 40,4% al 48%.
· Avanzano rapidamente le “nuove” tipologie familiari (single non vedovi, monogenitori non vedovi, unioni libere e famiglie ricostituite): sono ormai 5 milioni di famiglie (il 23% del totale nel 2033 con un aumento di cinque punti percentuali rispetto a dieci anni prima). Rapidissima l’ascesa dei single non vedovi: 3 milioni in maggioranza (53,4%) di genere maschile con un’età media di 46 anni, mentre quella delle donne è di 52 anni. In crescita anche le coppie non coniugate: da 227 mila nel 1993-94 a 555 mila nel 2003 (di cui la metà circa costituita da celibi e da nubili). Diminuisce inoltre (dal 41,6% al 32,2%) il numero dello coppie che vede la convivenza come uno stadio che porterà al matrimonio: aumenta (dal 18,4% al 25,1%) , invece, quello che non contempla nessuna prospettiva matrimoniale.
· In crescita anche la proporzione dei giovani tra i 25 ed i 34 che vivono in famiglia (dal 25,8% di dieci anni fa al 34,9% di oggi) ; superano la percentuale dei loro coetanei che vivono in coppia con figli (appena il 27,9%). In aumento, i giovani che attribuiscono la coabitazione con i genitori a ragioni di ordine economico (difficoltà di trovare un lavoro stabile, di ottenere un’abitazione in fitto od in acquisto) oppure di non rinunciare ai vantaggi (materiali ed immateriali) di “stare in famiglia”.
· Le giovani coppie tendono a vivere “sottocasa” (di quella dei genitori). Circa la metà delle giovani coppie senza figlia (in cui la donna ha un’età tra i 25 ed i 34 anni) e di quelli con figli piccoli (in cui la donna ha tra i 35 ed i 44 anni) vivono entro un chilometro dalla madre di lui o di lei; meno di un quarto risiede in altro comune. I contatti con la madre (di lui o di lei) sono comunque assidui: nella metà dei casi si incontrano tutti i giorni e più del 25% delle altre si frequenta almeno una volta la settimana. Un ruolo fondamentale nella cura dei bambini è svolto dai nonni non coabitanti ai quali viene affidato, nel 2003, il 35,7% dei bambini con meno di 13 anni. I bambini che vanno al nido sono ancora solo il 15,4% di quelli con meno di 2 anni; il 70% sono figli di madri che lavorano. In questo peraltro ristretto ambito, cresce la quota presso nidi privati (43,4% del totale) con una spesa media di 273 euro al mese, rispetto ai 145 euro al mese delle strutture pubbliche.
· Mutamenti importanti stanno interessando le reti di parentela, soggette anche esse a progressivo invecchiamento: la rete familiare si dimezza per i nuclei monogenitori non vedovi (il numero medio di parenti consanguinei è appena 5,5 individui contro i 9,9 delle coppie con figli piccoli). Gli anziani celibi e nubili possono contare in media su 2 parenti, per lo più fratelli e sorelle ancora in vita; il 56,7% dichiara di non avere amici ed il 48,7% di non avere neppure vicini su cui fare affidamento. Le persone che si attivano in reti di aiuto gratuito di solidarietà aumenta soprattutto tra coloro tra i 65 ed i 74 anni.
Da questo quadro due conclusioni, ancora una volta, coniugandolo con altri studi: a) un’analisi comparata di Robert Fogel (working paper N. W10752 del National Bureau of Economic Research) documenta che i Paesi e le aree geografiche ad alta crescita sono quelle a popolazione giovane ed a struttura familiare forte; b) Erick Eschker della Università Humbolt, in uno studio di contabilità intergenerazionale appena pubblicato nella rivista “Public Management and Finance”, vede, in una società che invecchia, inarrestabile l’erosione del tasso di risparmio delle famiglie e, quindi, degli investimenti e dello sviluppo. Proprio come nello studio di Albert Ando e di Sergio Nicoletti Altimari.
Un’ultima analisi (ancora inedita in Europa) suggerisce che senza una politica centrata sulla famiglia (e mirata ad una modificata della struttura demografica dell’Italia) il Paese resterà bloccato. E’ il lavoro curato da una squadra di docenti della School of Public Health della Università di Harvard : lo studio Does Age Structure Forecast Economic Growth?" (La struttura per età consente di prevedere la crescita economica) in uscita come NBER Working Paper No. W13221. In attesa della pubblicazione in Europa, se ne può chiedere il testo al Prof. David Bloom dbloom@hsph.harvard.edu .Sulle rive del fiume Charles, dove ha sede l’Università di Harvard, si è distinti e distanti dalle nostro beghe di politica interna; lo studio esamina un campione di 90 Paesi in un arco di tempo che va dal 1960 al 2000 per effettuare proiezioni sino al 2020. Nella prima parte, vengono derivati parametri demografici risultanti da politiche dirette ad incoraggiare o meno la famiglia al fine di potere calibrare meglio la modellistica econometrica per essere in grado di programmare una struttura demografica in cui la proporzione della popolazione in età da lavoro fornisca “dividendi demografici” significativi in termini di produttività e di produzione. E’ banale ricordare che i giovani, specialmente se ben addestrati e motivati, sono, generalmente, più produttivi e più innovatori degli anziani.
Nella seconda parte, i parametri vengono applicati all’esperienza effettiva nel periodo 1980-2000 per studiare in che misura migliorano la qualità predittiva dei modelli di crescita normalmente utilizzati. Tenendo conto delle politiche per la famiglia del passato (tali politiche hanno un lungo periodo di gestazione per dare frutti) non solamente si riduce lo scarto tra previsioni e andamenti effettivi. I Paesi che plasmano le politiche economiche sulla centralità della famiglia - nell’Ue il caso più significativo è quello della Francia – grazie al “dividendo demografico” sono anche quelli a crescita di lungo periodo più sostenuta. La terza parte presenta previsioni di crescita economica (e demografica) sino al 2020. Per l’Italia, ove non vengano introdotte politiche per la famiglia tali da modificare la struttura per età della popolazione (aumentando la proporzione di quella in età lavoro), la crescita massima prevista dal modello dal 2000 al 2020 è un pallido 1,8% l’anno. A tale ritmo si allontana l’obiettivo di risanamento dei conti pubblici.
Il primo Governo Prodi ridusse drasticamente, nel 1996-97, i modesti apporti di politica della famiglia allora in vigore (gli assegni familiari) per finanziare le pensioni di anzianità. Nella scorsa finanziaria il nuovo Governo Prodi ha ripristinato quella che nel resto del mondo (dove è stata in gran parte soppressa) viene chiamata “la tassa sulla morte” dei genitori. Due misure quindi “anti-famiglia”. Non certo compensate dalle briciole “pro-famiglia” inserite nella finanziaria ora all’attenzione del Parlamento.

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