Come si addice ai valdesi, il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale Cesare Damiano è un uomo di studio. Nel fascicolo di settembre della International Social Security Review, ha trovato molti spunti di riflessione. In primo luogo, quello di K.P. Kannan, una vera e propria autorità mondiale in materia, "Social Security in a Globalizing World" (“La previdenza sociale nell’integrazione economica internazionale”). Il lavoro riguarda, principalmente, i Paesi (in via di sviluppo) dove i sistemi previdenziali stanno nascendo al fine che recepiscano le lezioni dei Paesi maturi ed evitano di ripetere gli errori di questi ultimi. Un insegnamento importante è differenziare sin dall’inizio la sicurezza sociale (o previdenza) di base da quella complementare o integrativa – una differenziazione, riflette il Ministro, che non è stata effettuata che troppo tardi in Italia con i risultati che ci troviamo adesso in un vero e proprio labirinto. Lo ha interessato molto anche il lavoro di Wouter van Ginneken dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro “"Extending Social Security Coverage: Concepts, Global Trends and Policy Issues" (Aumentare la copertura della previdenza: concetti, tendenze mondiali e tematiche di politica economica”). L’analisi riguarda l’esperienza di molti Paesi a reddito pro-capite medio che hanno esteso la copertura della previdenza portandola a categorie sociali che in passato non ne fruivano. “Un’amministrazione pubblica efficiente e competente è l’ingrediente essenziali”. Lo studio esamina numerosi indicatori che possono essere di ausilio a Governi ed ad organizzazioni internazionali nell’estendere la previdenza; infine, l’analisi sottolinea il crescente uso di strumenti di finanziamento a carico della fiscalità generale.
Accanto a questi analisi (che riguardano, però, a reddito pro-capite e livello di sviluppo notevolmente inferiori a quelli dell’Italia) c’è il volumetto appena pubblicato dalla Commissione Europea “The Transition of Men and Women from Work to Retirement” (La transizione di uomini e donne dal lavoro alla pensione”). Il libro, uno scarno compendio statistico, gli ricorda che mediamente gli italiani vanno effettivamente in pensione prima dei loro coetanei di numerosi Paesi dell’Ue. Dal 1995, quando l’età media di pensionamento era 57, si sono fatti progressi: adesso è circa 59 anni per le donne e sfiora i 61 per gli uomini. Ma è sempre inferiore alla media Ue , poco più di 60 anni per le donne e quasi 62 per gli uomini. Ed il grado di copertura previdenziale (in termini di rapporto tra primo assegno pensionistico e ultimo stipendio) è più generoso in Italia che altrove. L’”equità” del sistema (e le implicazioni per le future generazioni) sono discusse da Friedrich Beyer e da Stefan Hufeld (ambedue dell’Università di Costanza) in un lavoro recente. I difetti del sistema pensionistico italiano sono una delle ragioni per cui – Damiano lo ha notato- nel libro "Notional Defined Contribution Pension Systems in a Stochastic Context: Design and Stability"(Sistemi previdenziali contributivi in un contesto probabilistico: allestimento e stabilità) Alan Auerbach e Roland Lee (ambedue dell’Università di California a Berkeley) nell’esaminare le proprietà dei sistemi previdenziali contributivo non si sono basati sui nostri meccanismi ma su quelli svedesi , pur legiferati quasi allo stesso tempo di quelli italiani.
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