La crisi dei mutui ad alto rischio (in gergo subprime ) è solo il sintomo di nodo di fondo molto grave: gli Usa devono attirare 800 miliardi di dollari l’anno per finanziare le partite correnti della propria bilancia dei pagamenti. A tal fine è sorto un complicato mercato di derivati di cui i subprime (e i Collaterl debt obligations, Cdo in gergo) che hanno inondato le piazze mondiali sono soltanto un piccolo elemento. Lo sottolinea efficacemente un libro recente di Mario Baldassarri e Pasquale Capretta in cui si dimostra che se gli squilibri dell’economia mondiale non vengono corretti, l’Europa è condannata a crescita rasoterra nel medio e lungo periodo.
E’ anche errato affermare che le operazione spericolate siano frutto dei comportamenti delle famiglie americane . Un’analisi recente della Banca d’Italia prova il contrario: sulla base della US Consumer Expenditure Survey del Bureau of Labor Statistics, giunge alla conclusione che tendono ad investire in attività prive di rischio, anche se ciò comporta una rinuncia di rendimenti pari allo 0,7-3,3 della spesa complessiva delle famiglie in beni e servizi non durevoli. Le famiglie con maggior patrimonio (e reddito) sono le più caute: il valore di rinuncia (a rendimenti più elevati) è pari al 6,7% della loro spesa in beni e servizi non durevoli.
Ciò che ha fatto difetto è la capacità delle istituzioni di stare al passo con l’innovazione, di capirne i trabocchetti e di monitorarli. Tanto la Sec (la Consob locale) quanto il Comptroller of Currency (la direzione generale del Tesoro preposta a questi compiti) non hanno visto il temporale che stava per arrivare ed ancor peggio hanno facilitato l’esportazione della tempesta ai grulli del resto del mondo. E’ pure mancata la vigilanza (del mercato, oltre che della Sec) su quelle società di rating che solo quando i buoi erano scappati hanno abbassato il classamento (rating) di alcuni istituti. Un mercato “normale” richiede, in primo luogo, riportare il disavanzo dei conti con l’estero Usa a livelli fisiologici ed far sì che le istituzioni di regolazione, garanzia e vigilanza si mantengano al passo con i tempi.
Ciò vuole dire che il compito cade essenzialmente sulle spalle dello Zio Sam? Il sindacalista francese Marc Blondel, a lungo leader di Force Ouvrière , ha detto per anni che nell’età della globalizzazione i Governi sono diventati subappaltanti dei mercati. L’Italia – ammettiamolo – è tra i più piccoli dei subappaltanti (nell’ambito dei Paesi industriali ad economia di mercato). Tuttavia, ci sono lezioni da apprendere e misure da adottare: le informazioni dalle varie authority sull’eventuale contagio (e sulla composizione dei portafogli dei principali operatori) dovrebbero essere disponibili in tempo reale, premendo il tasto di un computer; richieste verso il 10 agosto dal Governo, sono arrivate un mese dopo, alla sessione del Comitato interministeriale del credito e del risparmio (Cicr) di metà settembre. L’architettura della regolazione e della vigilanza dovrebbe essere meno barocca (la maggioranza dei Paesi dello spazio economico europeo ha una sola authority per tutti i servizi finanziari, ormai integrati) e le procedure meno rococò. Si dovrebbe essere in grado di bloccare sul nascere la circolazione di derivati opachi.
Oltre questi passi, essenziali per mettere ordine a casa propria, il ruolo (non secondario) dell’Italia in ambito Ue, G8 e G20 (quello che include anche i maggiori Paesi in via di sviluppo) potrebbe contribuire a trovare regole comuni per frenare le disfunzioni più gravi, specialmente se meno apparenti (come quelle in materia di vischiosità degli arbitraggi). Occorre, invece, valutare con grande prudenza (ed un pizzico di scetticismo) le proposte che stanno emergendo da consulenti dei Governi di Berlino e Parigi (e pare anche di Roma) volte a nazionalizzare le società di rating od a creare agenzie pubbliche nazionali e sopranazionali di rating. Il mercato premia e punisce meglio delle burocrazie e dei politici. Ha tanti difetti ma non si è ancora trovato uno strumento che imponga una migliore disciplina.
Per saperne di più
Ahrend R, Catte P. , Price R. Interactions between Monetary and Fiscal Policy: How Monetary Conditions Affect Fiscal Consolidation” OECD Economics Working Paper No. 2006/49
Baldassari M., Capretta P. The World Economy towards Global Disequilibrium Palgrave Mcmillan, New York 2007
Paiella M. “The Foregone Gains of Incomplete Portfolio” Banca d’Italia Temi di discussione n. 625,
Walker Ch., Punzi M.T.“Financing of Global Imbalances" IMF Working Paper No. 07/177
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1 commento:
Mi permetto di esprimere un dubbio.
A me fa specie pensare che fior fiori di economisti, a livello internazionale, non abbiamo previsto con almeno 2 anni di anticipo quello che stava avvenendo.
Io, che sono nessuno, avevo paura sin dal 2005...come? per esempio, bastava leggere i bollettini delle banche centrali...
Quindi non è vero che gli economisti non sapevano....
Un esempio su tutti. Roubini. E' più intelligente di altri? non credo.
Siccome però non sono neanche un fautore della tesi complottista, credo che tutto quello che è successo sia dovuto essenzialmente a dabbenaggine, trascuratezza e lecchinaggio.
Chi mai poteva avere il coraggio di avanzare obiezioni a Greenspan quando l'economia globale cresceva a quasi due digit l'anno??
...come minimo, sarebbe stato considerato un guastafeste, iettatore....
Ancora oggi, l'FMI con il cortigiano STRAUSS-KAHN (chissà perchè sta gente ha tutti doppi cognomi...) sprizza ottimismo da tutti i pori.
ciao
ciao
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