Il 9 novembre , l’Harris Interactive Service – quindi, non un sondaggio commissionato dall’opposizione – ha stabilito che Romano Prodi ha un nuovo record: quello di leader più “impopolare” tra i maggiori Paesi europei (Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e Spagna): “un tasso di impolarità” del 64% (analogo a quello toccato negli Usa da Richard Nixon alla vigilia delle dimissioni per l’affare Watergate) con un aumento rispetto al già elevatissimo 59% toccato nel sondaggio precedente. Gli autori del sondaggio sottolineano che la rilevazione è stata fatta tra il 3 ed il 15 ottobre; verosimilmente il tasso di impopolarità è ancora aumentato a ragione dell’ondata di scioperi (pubblico impiego, scuola, sanità, trasporti di tutti i tipo) e del caro-pane e caro-pasta che fanno crescere a tasso esponenziale il disagio dei cittadini. Ora anche i teatri – si parla di sciopero la sera di Sant’Ambrogio – stanno scendendo sul piede di guerra nonostante la mancia elargita a quelli più indebitati con un emendamento (alla legge di bilancio) appena approvato dal Senato. Siamo alle prese con un vero e proprio autunno caldo, con il Segretario della Cgil – il sindacato che è stato il vero “king maker” dell’Unione e del Governo (nella speranza di potere incidere fortemente sulle sue scelte) preso a sberleffi dagli studenti della Università di Roma III.
In aggiunta, cova un attacco di “fuoco amico”. E’ stato ripresentato alla Camera l’emendamento (bocciato al Senato) che avrebbe chiuso le scuole dei Ministeri (Economia e Finanza, Esteri, Interno, e via discorrendo) per darne strutture e risorse ad una mega-agenzia che pare pensata all’insegna del motto “jobs for the boys”, prebende per gli amici. L’alta burocrazia è in rivolta. Il Sen. Cossiga (anche pensando a questo episodio) dice che Amato, Parisi e D’Alema dovrebbero dare le dimissioni, ponendo il Professore nella necessità di rimettere il mandato.
Il record dell’Harris Interactive Service, quindi, non solo dimostra che l’Esecutivo non ha più alcun supporto popolare (ove mai, con 24.000 voti in più alla Camera e 400.000 in meno al Senati, lo abbia avuto) ma che ha perso non tanto il controllo ma anche il contatto con il proprio “king maker” (la Cgil) e con quell’alta burocrazia di cui ciascun Governo ha necessità pure solamente per l’ordinaria amministrazione.
Romano Prodi – lo conosco dal 1966 - è tenace, quasi caparbio. Come il “Falstaff” verdiano “va per la sua strada”, nonostante le avversità. Questa strada, però, è ormai diventata un vicolo ceco. Non solo per lui, ma per un’Italia le cui prospettive di crescita sono rasoterra.
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