C’è troppa o troppo poca liquidità? Siamo alle prese, per utilizzare, il lessico tecnico con un “credit glut” oppure con un “credit crunch? E quale ruolo ha la finanza strutturata (in particolare) i derivati in queste due letture delle situazione della liquidità mondiale. E’ utile ricordare che analisi della Banca d’Italia (il “Temi di discussione” n 551) sottolineavano (non molto tempo addietro) come negli ultimi anni la liquidità a livello mondiale sia cresciuta ai tassi d’incremento più alti (il 20% l’anno nel 2003-2006) rilevati dal 1974-75. Ciò nonostante, la Federal Reserve ed, in misura molto maggiore, la Banca centrale europea, Bce, hanno effettuato forti iniezioni di liquidità tra agosto e settembre , mirate principalmente ad alleviare difficoltà di grandi banche e di arbitragisti molto esposti a ragione del crollo delle valorizzazioni dei Cdo (Collateralized debt obligations), uno strumento di finanza strutturata con una componente significativa di mutui edilizi inesigibile (in gergo mutui subprime).
In primo luogo, è importante sottolineare che le misure aggregate di liquidità, calcolate, principalmente dalle Banche centrali, a livello nazionale, nonché di unioni monetarie e mondiale, non tengono conto che, nella realtà effettiva, non esiste un unico mercato con una sola moneta che serva come unità di misura, di transazione e di riserva. L’offerta di liquidità nei vari mercati (spesso segmentati) ed il valore degli strumenti monetari in ciascuno di essi dipende dalla fiducia che si hanno nel loro funzionamento (moneta e titoli immobiliari in primo luogo). Lo riaffermano due analisi empiriche ancora inedite: una del “mercato nero dei capitali” condotta a Wayne State Università ed una del mercato di obbligazioni ibride convertibili in forme di assicurazione nei confronti di grandi rischi , in gergo “hybrid cat bonds”, effettuata dall’Istituto svizzero di ricerche in materia di finanza.
In secondo luogo, è in questo contesto che va collocato il contributo alla liquidità dato dalla finanza strutturata, la sua incidenza dei vari mercati ed il grado di fiducia (in ciascun mercato) per i derivati – un grado che varia tanto nel tempo quanto nello spazio. Una stima dei derivati in giro per il mondo effettuata dal servizio studi della Banca per i regolamenti internazionali ipotizzarne l’equivalente di 400.000 miliardi di dollari Usa , non certo un’inezia rispetto ai mercati finanziari specifici dove c’è appetito per finanza strutturata (anche se oggi meno forte di quanto era prima della crisi dei Cdo).
Interessante a riguardo un aspetto, approfondito con attenzione, in un lavoro dell’Università di Lipsia (il cui testo inglese è disponibile on line dal 3 novembre): la finanza strutturata è diventata, in certi casi, una determinante di “bolle di liquidità” che possono contribuire ad esuberanza irrazionale delle Borse, ad aumenti a tassi rapidissimi delle quotazioni delle materie prime, ad incrementi in progressione geometrica delle valorizzazioni dell’immobiliare. Lo studio traccia l’andamento dei mercati dalla metà degli Anni 80 (da quando il toro è corso su tutti i binari, da quelli mobiliari a quelli immobiliari, passando per le materie prime):l’ampia offerta di liquidità (alimentata in vario grado dalla finanza strutturata) ha avuto origine nel Nord America ed in Europa ma si è estesa al Giappone, all’Asia ed a molti Paesi emergenti, innescando un ciclo di tassi eccessivi di investimento (a volte a scapito della crescita dei consumi, nonché di salari e stipendi). Secondo l’analisi, il fenomeno sarebbe stato accentuato da politiche monetarie espansioniste (tassi d’interesse reali bassi e rapida crescita degli aggregati monetari) nella convinzione che l’inflazione (degli Anni ’70) fosse stata sconfitta per sempre. Il risultano è stato quello di generare “bolle vagabonde di liquidità” che colpiscono ora questa ora quella area finanziaria. E’ su queste “bolle” che si deve concentrare l’attenzione e di istituzioni (come il Fmi e la Bce) e di comitati di saggi come il G 30.
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