Teatro Reale dell’Opera di Stoccolma
COSI’ FAN TUTTE
“Così fan tutte” è l’ultima e la più ardita opera della trilogia di Lorenzo Da Ponte e Wolfgang A. Mozart. Dopo il successo di “Le nozze di Figaro”, i due pensavano di “fare i soldi” con “Così” – stranamente ignorata da Da Ponte nelle proprie “Memorie”, ripubblicate di recente in versione integrale. Al debutto, il 26 gennaio 1790 al Burgtheater di Vienna, venne accolta abbastanza bene, ma ebbe solo tre repliche, a ragione del lutto per la morte dell’Imperatore Francesco II. Fredda l’accoglienza a Berlino. Sparì dai repertori sia nell’Ottocento (tranne che in Germania, dove peraltro veniva rappresentata con il finale cambiato in senso moraleggiante in quanto il libretto veniva considerato “indecente”) sia nella prima metà del Novecento. Approdò al Metropolitan nel 1934, al Covent Garden nel 1947 e alla Scala attorno al 1950 (per l’inaugurazione di quella bomboniera che era la “Piccola Scala”).
Come mai? L’intreccio è semplicissimo e si basa su una vasta gamma di fonti (dalle ”Mille e una Notte” al “Don Chisciotte”, passando per l’”Orlando Furioso” e più di un play di Shakespeare): due bei giovani napoletani fidanzati a due belle sorelle ferraresi, le mettono alla prova travestendosi e corteggiando l’uno la ragazza dell’altro; hanno successo (tanto più che la cameriera invita le fanciulle a “fare all’amore come assassine”) sino ad un doppio (ma amaro) matrimonio (ciascuno con la fidanzata iniziale da cui sa di essere stato tradito con il suo migliore amico). Sottotitolata, appropriatamente, “La scuola degli amanti” è il lavoro più sensuale di Mozart, sfiora l’”opéra érotique” ( più tardi di moda in Francia) quale “Le Compte Ory” di Gioacchino Rossini. E’ un gioco ambiguo di sentimenti sia futili sia genuini in clima di aperta amoralità. Destinata a non essere compresa sino a quasi a sparire nell’epoca del melodramma romantico – soprattutto in Italia dove, del melodramma, imperava la versione passionale, quella verdiana, che ignorava l’eros. L’ambiguità – sottolinea Livia Bramani nella sua opera fondamentale su Mozart – è “resa dalla musica perfino al di là del soggetto e della dimensione filosofica e linguistica assoluta”.
Nella seconda metà del Novecento hanno contribuito al suo rilancio i Festival di Glyndebourne e di Aix-en-Provence , grazie a John Christie ed a Jean Cocteau (nonché al suo inseparabile Jean Marais). Con pochi personaggi in scena (sei solisti e un piccolo coro) ed un limitato organico orchestrale, si presta ad allestimenti a basso costo e tali da andare in tournée.
Adesso è tanto entrata nei repertori che in queste settimane si può vedere in varie edizioni. In Lombardia, la Scala (sino al 19 novembre) ed il Piccolo (in dicembre) riprendono regie storiche (ed eleganti) di Michael Hampe e Giorgio Strehler, mentre il circuito lombardo presenta un nuovo allestimento di Mariano Dammarco. In questi allestimenti, l’impianto complessivo è ispirato alla tradizione quale affermatasi nella seconda metà del Novecento- quindi, una commedia elegante (ed un po’ leziosa) di un Settecento vagamente libertino (ma non troppo). A Roma è in scena sino all’11 novembre un allestimento che ha debuttato con successo nel 2005 ed in cui l’azione viene trasferita dal XVIII secolo in lascive terme pompeiane nel 60 dopo Cristo. L’abile bacchetta di Gianluigi Gelmetti e l’affiatato cast (Anna Rita Talento, Laura Polverelli, Giacinta Nicotra, Michele Angelini, Massimiliano Galiardo, Bruno Taddìa) ne fanno un esilarante farsa che affolla il teatro anche in quanto rappresentata a prezzi competitivi con i biglietti del cinema. Altri colleghi recensiscono in dettaglio queste produzioni.
Occorre comunque ricordare che il “dramma giocoso” scritto da Da Ponte per la musica di Mozart è una commedia “nera”, amara. Ne è stato colto pienamente il senso nell’edizione presentata nel 2005 a Aix-en Provence ( ben dieci repliche esaurite già il marzo precedente), seguita da diciotto repliche all’Opéra di Parigi, dieci a Vienna nel 2006 , nonché rappresentazioni al Festival di Baden Bade ed a New York . E’ l’edizione che sarebbe dovuta giungere alla Scala in questo novembre 2008. E’ il “Così” che ha rappresentato il ritorno alla regia lirica, dopo dieci anni, di Patrice Chéreau ; Chéreau era non solo con Richard Peduzzi (suo scenografo abituale e per qualche anno direttore dell’Istituto francese di cultura a Villa Medici a Roma) ma anche con Daniel Harding (considerato non più un enfant prodige ma come il successore di Claudio Abbado). Inoltre, in un cast di giovani, l’allora 64enne Ruggero Raimondi affrontava il ruolo da Don Alfonso da lui raramente interpretato in oltre 41 anni di carriera e la veterana Barbara Bonney quello della servetta quindicenne Despina. La principale difficoltà di realizzazione (sia scenica sia musicale) di “Così” consiste nel fatto che mentre la prima parte è brillante ed ironica, la seconda è un’amara riflessione in cui ciascuno è, al tempo stesso, infedele e geloso. Allestimenti recenti o scivolano nella commedia farsesca oppure – quelli di Martone, Strehler e Ronconi- trasformano il lavoro in un gioco di eleganza simmetrica alla Marivaux. L’idea di fondo della regia di Chéreau è quella di porre l’accento sul sottile ricamo di finzioni sin dalla prima battuta. L’intreccio si svolge sul palcoscenico nudo di un teatro – è in effetti, quello del Teatro Valle a Roma- ,quasi a voler accennare al teatro-nel-teatro (finzione per eccellenza), senza , però, svelarlo a pieno. Alla “scuola degli amanti” si apprende che l’amore è libertà, ma che proprio in quanto libertà non può non comportare dolore ed inganno. Chéreau ha chiesto, ed ottenuto, otto settimane di prove (un record per l’opera lirica) prima del debutto ed ha continuato a ritoccare ancora lo spettacolo nei due anni di repliche. Harding ha assecondato questa chiave di lettura guidando la Mahler Chamber Orchestra in modo che si vada con grande dolcezza (e senza quasi avvertirne il passaggio) dai recitativi, alle arie, ai duetti, ai terzetti, ai quartetti ed ai concertati. Ruggero Raimondi supera se stesso per arguzia di recitazione e tenuta vocale. In breve, ne è risultata una pietra miliare ed un elemento inevitabile di raffronto per successive edizioni di “Così”.
Nel nuovo allestimento al Teatro Reale di Stoccolma (in scena sino al 17 novembre e programmato per la prossima stagione), il regista norvegese Ole Anders Tandberg segue la lezione di Chéreau. Situa la vicenda ai tempi oggi, come avviene di frequente nei palcoscenici nordici e tedeschi. Non siamo a Napoli ma in un giardino di cipressi. Si respira in un clima tra il bergmaniano delle “commedie per adulti” (come in “Sorrisi di una Notte d’Estate” che nel 1955 fece irrompere, a Cannes, Igmar Bergman sulla scena cinematografica mondiale) ed il felliniano (l’atmosfera è surreale con gag quali l’improvvisa esplosione di funghi che ricordano “Giulietta degli Spiriti”). La regia, come è consuetudine in Scandinavia e in Germania rende abbastanza espliciti gli aspetti erotici del secondo atto, specialmente l’amplesso orale tra Guglielmo e Durabella in una tenda militare (pur colorandoli di cinica amarezza). Il giovane maestro concertatore Stefan Tandberg tiene ben testa a Dantone (a Milano) ed a Gelmetti (a Roma); in particolare scivola agevolmente dai numeri musicali ai recitativi e viceversa, pur senza avere la sensuale dolcezza di Daniel Harding, il quale, alle prese con la partitura di “Così”, dimentica la tifoseria per la sua squadra di calcio del cuore (il Birmingham) .
Tra le voci spicca su tutti Hillevi Martinpelto , nota al pubblico italiano per la sua presenza alla Scala, al Maggio Musicale Fiorentino ed a Ferrara Musica: la sua Fiordiligi ha un forte spessore ed è molto drammatica (specialmente in “Come Scoglio”, cantata come aria da “opera seria”, ed, in effetti, Mozart la percepisce come precursore della “Vitellia” di “La Clemenza di Tito”, all’epoca già in gestazione, almeno sotto il profilo concettuale). Interessante ascoltare come la Martinpelto “eroico-drammatica” si scioglie nel duetto con Ferrando (Tra gli amplessi/in pochi istanti) in cui smonta le proprie difese e cede definitamene (alle profferte del migliore amico, in maschera, del suo fidanzato). Una buona Dorabella è Janja Vuletic (dalla tessitura molto più lirica della Maltinpelto); efficace la differenza di tessitura nel duetto tra i due soprani “Prenderò quel brunettino”. Mediocre la Despina di Marianne Hellgren Staykov .
Nel gruppo maschile, di livello il Guglielmo di Jesper Taube, equilibratissimo sin dal “Non siate ritrosi/occhietti vezzosi”. Di ordinaria amministrazione, il Ferrando di Klas Hedlung (un po’ ligneo in “Un’aura amorosa”) e il sin troppo giovane Don Alfonso di Johan Edholm, a cui manca l’autorevolezza nell’”andante” “Tutti accusan le donne/ed io le scuso”:
Degno di nota come questi giovani cantanti nordici (specialmente quelli di genere maschile), anche quando impegnati in numeri musicali difficili ( e “Così” è piena di trabocchetti vocali), riescano a danzare, fare capriole ed a dare prove di atletismo, nonché a svestirsi e a rivestirsi a sipario aperto. La sera in cui ho visto “Così” nella capitale svedese, l’età media degli spettatori del Teatro Reale di Stoccolma era attorno ai 35 anni – non certo a ragione soltanto di una politica dei prezzi in base alla quale i biglietti per le poltrone costano la metà di quelli dei nostri maggiori teatri oppure di una cultura diffusa dell’opera italiana. Anche verosimilmente a causa di regie innovatrici e di cantanti attori che tolgono la polvere dal teatro in musica.
Applausi a scena aperta e sei chiamate alla fine. Ripresa la prossima stagione.
Stoccolma. Teatro Reale dell’Opera
2 Novembre
LA LOCANDINA
COSI’ FAN TUTTE
Dramma giocoso in due atti di Lorenzo da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Regia e Scene: Ole Anders Tandberg
Costumi: Maria Geber
Luci: Ellen Ruge
Direzione Musicale: Stefan Klingele
Fiordiligi Hillevi Martinpelto
Dorabella………………………………….Janja Vuletic
Guglielmo…………………………………Jesper Taube
Ferrando…………………………………..Klaus Hedlund
Despina…………………………………….Marianne Hellgren Staykov
Don Alfonso Johan Edholm
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