Se un ambasciatore finisce a
Regina Coeli
Giuseppe
Pennisi legge per Formiche.net il libro "Un Ambasciatore a Regina
Coeli" (Editori Riuniti) nel quale Claudio Moreno racconta la sua
personale esperienza
Domani
giovedì 22 febbraio, dopo un lungo periodo e un complesso iter procedurale, la
riforma delle carceri dovrebbe avere il via definitivo dal Consiglio dei
ministri. Si è temuto, e si temerà sino alla pubblicazione dei provvedimenti in
Gazzetta Ufficiale, di un ulteriore slittamento che farebbe rinviare tutto alla
prossima legislatura.
Un impulso a quello che pare essere uno sprint finale (e
tardivo) è stato dato oltre che dall’urgenza obiettiva e dai digiuni per fare
l’ultimo miglio anche da un libro uscito negli ultimi giorni del 2017 e in
queste settimane tema di dibattito (e di indignazione) ai piani alti dei
Palazzi romani: Un Ambasciatore a Regina Coeli di Claudio Moreno con
introduzione di Rita Bernardini e prefazione di Vitaliano Esposito
(Editori Riuniti, pp.200, euro 12).
Conosco da
decenni Claudio Moreno in quanto ambedue, pur con sei anni di distanza,
studenti della School of Advanced International Studies-Europe di Bologna (e,
quindi , frequentatori delle riunioni periodiche di ex allievi), nonché
partecipanti, negli anni Ottanta, ai seminari del centro studi MondOperaio
allora animato da Luciano Pellicani.
Ho anche
interagito con lui per un paio d’anni al Fondo aiuti italiano, Fai (il fondo
speciale per debellare la fame del mondo creato dal Parlamento come risposta
alle richieste di un gruppo di parlamentari radicali guidati da Francesco
Rutelli). Ero componente del comitato per le questioni economiche e
finanziarie del Fai di cui Moreno era direttore esecutivo. Il comitato era
formato da specialisti in gran misura docenti universitari che si riunivano una
volta la settimana a titolo onorifico (ossia gratuito) e fornivano pareri
“obbligatori”, ma non vincolanti, al sottosegretario delegato e alla struttura.
In quel periodo, interagii spesso con Claudio Moreno, di cui apprezzai il
rigore. L’efficienza era già nota.
Entrato in
carriera diplomatica giovanissimo, all’inizio degli anni Settanta, era
considerato un “pericoloso sovversivo” lombardiano e pannelliano in una
Farnesina ingessata in una corazza democristiana; riuscì a farsi apprezzare.
Nel 1976 era ambasciatore in Mozambico (accreditato anche in Swaziland e
Lesotho), nel 1980 in Senegal (accreditato anche in Gambia, Mauritania, Capo
Verde e Mali), a Roma direttore esecutivo del Fai, e, successivamente, in
Tunisia e Argentina (una delle sedi più importanti anche a ragione dell’alta
percentuale di discendenti di emigranti italiani). La sua missione a Buonos
Aires, e la sua carriera, vennero improvvisamente interrotte quando venuto a
Roma per normali consultazioni di routine, venne invitato da colleghi ad avere
un colloquio con un procuratore che stava indagando sulla cooperazione allo
sviluppo: il magistrato lo fece tradurre immediatamente a Regina Coeli, dove
restò sei mesi. Ciò causò, tra l’altro, grave imbarazzo per l’Italia in
Argentina e non solo. La vicenda durò ben 14 anni sino all’assoluzione “per non
aver commesso il fatto”. Successivamente, Moreno poté riprendere la sua
carriera, conclusa come Rappresentante permanente presso le Nazioni Unite e le
organizzazioni internazionali con sede a Vienna e, raggiunta l’età della pensione,
con incarichi di coordinatore di varie “expo” internazionali (Milano,
Saragozza, Yeusho, Venlo). È anche stato presidente del Comitato Diritti Umani
e Capo delle delegazione italiana alla Conferenza Mondiale Onu con razzismo,
discriminazioni e intolleranza.
Il libro non
tratta della vicenda giudiziaria (ne uscirà presto un secondo sulle indagini,
quasi tutte archiviate, in materia di cooperazione allo sviluppo), ma sulla sua
esperienza a Regina Coeli. Un ritratto del coraggio, per parafrasare il titolo
del volume che nel 1957 valse il Premio Pulitzer all’allora Senatore John
Fiztgerald Kennedy.
Nelle
condizioni disumane di un carcere vetusto e affollato oltre ogni immaginazione,
fu l’ambasciatore (con la ‘a’ minuscola in quanto era e si considerava carcerato
come gli altri), pur innocentissimo e di ciò convintissimo, era lui a infondere
coraggio ai suoi compagni di carcere. Il volume descrive con cura le condizioni
di Regina Coeli e tratteggia i ritratti degli “ospiti” (il taccheggiatore, lo
specialista di pizzicheria, gli addetti agli ufficio postali, il cassafortaro,
il buttafuori senegalese, il rapinatore di tir) e include un prezioso glossario
del linguaggio carcerario. Illustra momenti di (relativa) gioia come la
partecipazione a un torneo di tennis e l’animazione di una squadra di calcetto
tra le mura di Regina Coeli. Descrive momenti di sconforto: l’attesa, a volte
disillusa, di “uscire”, il degrado per persuadere a confessare reati mai
commessi ossia come forma di tortura. Dipinge “i femminielli e i viados”, la
violenza sempre latente, le autolesioni, i suicidi e i tentativi di suicidi, le
proteste, i tumulti, gli scioperi della fame. In breve, con la forza morale
della coscienza di essere innocente e con l’esperienza di avere rappresentato,
per tanti anni, l’Italia in sedi difficili, l’ambasciatore diventò un pilastro
di supporto per la complessa e numerosa popolazione carceraria e lui stesso ne
trasse una grande esperienza umana.
Dal libro si
trae non solo l’urgenza di una riforma degli istituti di detenzione e pena ma
anche e soprattutto di una profonda riforma della magistratura con separazione
delle carriere e con incentivi a magistrati che fanno bene il loro lavoro e di
converso sanzioni a quelli che dilapidano le risorse pubbliche in processi inutili
e causano angoscia e danni a innocenti.
È un libro
che il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca dovrebbe
porre tra le letture consigliate nelle scuole secondarie superiori.
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