DA“MISERIA E
NOBILTÀ” ALLA “CIOCIARA” COME CAMBIA IL SENSO DELLA GIUSTIZIA NELLA NUOVA OPERA
ITALIANA
Tramonta la
vox populi e il “ garantismo” gli ruba la scena
GIUSEPPE
PENNISI
Alcuni anni
fa, un trimestrale di Monaco di Baviera mi invitò a scrivere un breve saggio (
in tedesco) per spiegare perché l’opera italiana non era più quella vox
populi che accompagnò il Risorgimento con il suo giustizialismo tagliato
con l’accetta e il suo manicheismo etico. E continuò ad essere tale sino alla
seconda guerra mondiale. In effetti, tra la fine del ventesimo e l’inizio del
ventunesimo secolo gran parte delle opere italiane che debuttano sui nostri
palcoscenici sono sperimentali o quasi, nella drammaturgia, nella musica e nel
suo approccio sfumato, “garantista” alle vicende umane e all’umana giustizia.
Il pubblico, soprattutto quello giovane, le disertava ed i templi della lirica
assomigliavano sempre più a musei.
Qualcosa,
però, sta cambiando. Un segno evidenti sono stati i dieci minuti non di
applausi ma di vere e proprie ovazioni lo scorso 23 febbraio al gremitissimo
Teatro Carlo Felice di Genova ( molti giovani in sala) al debutto di Miseria
e Nobiltà di Marco Tutino. Nella musica ( complessa ma di facile e ascolto)
e nella drammaturgia, la “nuova opera italiana” incorpora le lezioni di quella
americana; negli Usa i teatri sono privati, ricevono poche sovvenzioni e
devono, quindi, piacere al pubblico pagante. Ne devono anche riflettere
obiettivi e sentimenti. In tempi recenti, si sono viste alcune opere americane
in teatri italiani; ad esempio, A Streetcar Named Desire di André Previn
al Regio di Torino,
The Death of Klinghoffer di John Adams al Teatro Comunale di Ferrara, A View from the Bridge
di William Bolcom e I was looking for the sky and then I saw the ceiling
di John Adams al Teatro dell’Opera di Roma. Tratte a volte da film e romanzi di successo, hanno
sovente un forte contenuto politico come la vicenda del sequestro dell’Achille
Lauro in The Death of Klinghoffer oppure Willie Stark di Carlisle
Floyd ispirata alla vita di Huey Long, un politico realmente esistito degli
Anni Trenta, oppure a Nixon in China di John Adams, viste ed ascoltate
in tutta Europa tranne che in Italia Torniamo a Miseria e Nobiltà. La
commedia di Scarpetta, ed il film di Totò, sono solo uno spunto L’azione è
spostata 1946 durante la campagna referendaria per scegliere tra Monarchia e
Repubblica in una Napoli bombardata ed in cui si soffre la fame. La borghesia
commerciale si è arricchita grazie alla borsa nera ed, unitamente con quel- che-
resta dell’aristocrazia fa il tifo per la Monarchia. Felice Sciosciammocca è un
pover’uomo che ha perso il posto di maestro perché antifascista, ed anche la
moglie, finita tra le braccia di un aristocratico dietro la promessa ( mai
mantenuta) di farlo reintegrare. In questo contesto, si svolge la vicenda del
travestimento di Sciosciamocca da aristocratico per facilitare le nozze del
figlio di un borghese arricchito con una ballerina del San Carlo. Scioscamocca
viene indotto a partecipare all’inganno con una lauta portata di spaghetti al
pomodoro per lui, famiglia e vicini. Scopre che la moglie è al servizio del
borghese. Durante la cena, arriva l’aristocratico vero e viene annunciata alla
radio la vittoria della Repubblica al referendum. Scattano una serie di
equivoci che portano alla benedizione delle nozze dei due giovani ed alla
riconciliazione tra Felice e la propria moglie. Mentre borghese ed
aristocratico firmano un “patto di ferro” perché con la Repubblica cambi tutto
per non cambiare niente. Ma un coro finale inneggia a garanzie costituzionale
ed ad una «giustizia giusta».
A fine
Novembre si è vista ed ascoltata al Teatro Lirico di Cagliari un’altra opera di
Tutino La Ciociara, la prima dai tempi de Il Trittico pucciniano
( 1920), commissionata da un grande teatro americano ( il War Memorial Opera
House di San Francisco) ad un autore italiano. Tratta dal romanzo di Moravia e
dal film di De Sica dà maggior spazio che in questi due lavori al personaggio
del fellone Giovanni, un fascista “di ferro” che si dedica alla borsa nera
nella Roma città aperta ma dopo lo sbarco degli alleati ad Anzio si maschera da
“proto- antifascita”; scoperto, sta per essere linciato quando la protagoniste,
Cesira, interviene con voce imperiosa e chiede la fine di ogni violenza ed un
proprio processo Molto interessante anche Ettore Majorana. Cronaca di
infinite scomparse, libretto e regia di Stefano Simone Pintor e musica di
Roberto Vetrano. Lo spettacolo è stato interamente creato, dalla stesura del
libretto alla composizione musicale e alla regia, da professionisti under 35 (
oltre a Pintor e Vetrano, Gregorio Zurla, scenografo e costumista) e prodotto
per l’apertura della Stagione 2017/ 2018 di Opera-Lombardia, il brand che
raggruppa in un unico grande cartellone d’opera i cinque teatri di tradizione
della Lombardia ( Fondazione Donizetti di Bergamo, Teatro Grande di Brescia,
Teatro Sociale di Como, Teatro Ponchielli di Cremona e Teatro Fraschini di
Pavia). E’ stato visto ed ascoltato, in questi mesi anche al Teatro dell’Opera
di Magdeburg ( Germania) e al Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia (
Spagna). Dal punto di vista narrativo, l’opera è un poliziesco dall’ampio
respiro che affronta, alle soglie dell’ottantesimo anniversario della scomparsa
di Ettore Majorana, una delle storie più incredibili e misteriose vicende del
Novecento: l’inspiegabile sparizione dello scienziato, a poche ore dal suo
imbarco sul piroscafo da Palermo a Napoli, la sera del 26 marzo 1938. Il lavoro
illustra alcune delle principali spiegazioni della scomparsa di Ettore Majorana
ma non offre, nel finale, una soluzione. Il garantismo richiede che, sino a
prova contraria, siano tutte valide.
IN QUESTO
PASSAGGIO SONO STATE FONDAMENTALI LE “LEZIONI” DELLA DRAMMATURGIA AMERICANA DI
AUTORI MODERNI E TRASGRESSIVI COME JOHN ADAMS E WILLIAM BOLCOM
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