Nel discorso sull’Unione il mezzo passo
indietro del Trump protezionista
Nel suo primo messaggio sullo Stato dell’Unione, il
presidente Donald Trump ha usato toni e parole molto istituzionali e molto
concilianti. I temi della politica commerciale sono stati appena sfiorati in
due brevi paragrafi.
L’aspetto più interessante, in materia, è stato l’annuncio
che le misure commerciali saranno d’ora in poi «negoziate » e quindi non
unilaterali come le recenti restrizioni all’import di elettrodomestici e di
pannelli solari. Un atteggiamento molto differente da quello mostrato in
campagna elettorale e già manifestato nel discorso tenuto pochi giorni fa a
Davos al Forum economico mondiale. Cosa ha indotto al cambiamento almeno di
tono? Da un lato, gli è stato fatto notare dai numerosi parlamentari
repubblicani – un partito tradizionalmente più aperto alla liberalizzazione
degli scambi di quanto non sia quello democratico – che le parole forti in tema
di commercio, dazi e tariffe possono essere utili a trovare voti in Stati
dell’Unione dove ci sono industrie poco competitive e alta disoccupazione, ma
che da una guerra commerciale gli Usa rischiano di uscire perdenti. Non solo a
ragione delle misure di ritorsione che applicherebbero altri Stati e che, nelle
circostanze, verrebbero probabilmente approvate dallaWto nella sua funzione
giurisdizionale, ma perché gli Usa rischiano l’isolamento in un mondo in cui la
libertà degli scambi è vincente.
Sono in corso 35 trattative o bilaterali o regionali per
ridurre quel che resta dai dazi, liberalizzare le barriere non tariffarie agli
scambi, eliminare gli ultimi contingenti quantitativi. «Il mondo si muove anche
senza di noi», ha scritto Phil Levy del Chicago Council on Global Affairs,
repubblicano da sempre e a lungo consigliere di George W. Bush per la politica
economica internazionale. Alla Casa Bianca si comincia a temere l’isolamento
commerciale degli Stati Uniti, anche e soprattutto in quanto una parte
importante della business community americana teme ripercussioni negative sui
propri conti economici. Il cambiamento di tono è tanto più importante dato che
proprio alla vigilia del discorso l’Economic policy institute , il 'pensatoio'
di Washington supportato dalle maggiori organizzazioni sindacali, ha pubblicato
un’analisi intitolata 'Trump must act now to protect U.S. steel and aluminum
workers' a firma del capo economista Robert E. Scott. Lavoro chiaramente
realizzato per indurre Trump a riprendere gli accenti tenuti in campagna
elettorale.
Giuseppe Pennisi
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