Le
elezioni si decidono al sud, ma nessuno parla (seriamente) di Mezzogiorno
Il ruolo delle banche e l'eterna questione irrisolta del
meridione
I
sondaggi elettorali indicano che, anche a ragione della complessa legge
elettorale, sarà il Mezzogiorno ad avere il peso preponderante nel risultato finale
delle ormai imminenti elezioni politiche. Eppure, come ha riconosciuto lo
stesso Gianni Pittella, europarlamentare e candidato nel Pd in questa
tornata elettorale, non sembra che ci sia una chiara linea o proposta politica
per lo sviluppo del sud e delle isole.
La
fotografia della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia scattata da Eurostat,
all’interno del suo volume annuale dedicato alle oltre 200 regioni Ue, mette il
dito sulla piaga di fondo: la disoccupazione, soprattutto dei giovani che non
studiano né lavorano (definiti nelle statistiche neet-not engaged in education,
employment or training), pochi laureati, record di disoccupati e un divario
digitale con il resto d’Europa ancora da colmare. In Sicilia nel 2016 (ultimo
censimento Eurostat) erano il 41,4% dei giovani fra i 18 e i 24 anni che non
lavoravano, non studiavano e non erano impegnati in tirocini formativi. Nella
classifica, dati peggiori solo per la Guyana francese (44,7%) e per la regione
bulgara di Severozapaden (46,5%). Attenzione, l’Italia ha, in media, il primato
europeo dei neet: 26%, a fronte di una media europea del 15,2%.
L’alto
tasso di ragazzi che non trovano una motivazione per continuare a cercare un
impiego si lega a un altro dato: se in Ue il 71,4% di chi ha terminato
l’università trova un’occupazione entro tre anni, in Italia ci riesce appena il
44,2%, nel Mezzogiorno il 26,7% e in Calabria la percentuale crolla addirittura
al 20,3%. Segue quindi a ruota il dato su abbandoni scolastici e laureati: in
Sicilia il 23,5% dei giovani fra i 18 e i 24 anni ha lasciato la scuola prima
di terminare il ciclo delle superiori (in Ue il 10,7%). E ancora la Sicilia
(18%) e poi la Campania (19,7%) appartengono al ristretto gruppo di sei regioni
europee in cui possiede una laurea o un titolo equivalente meno di una persone
su cinque (la media Ue fra i 30 e i 34 anni è invece del 39,1%).
Calabria,
Sicilia, Campania e Puglia sono in Europa le regioni in cui lavora meno di una
persona su due fra i 20 e i 64 anni. Il digitale è ormai indispensabile per la
maggior parte delle occupazioni. Nel Sud Italia e nelle isole solo il 57,5% di
coloro fra i 16 e i 74 anni usa regolarmente internet, quasi 20 punti
percentuali meno della media Ue (79%). E appena il 27% lo fa da dispositivi
mobili come smartphone o tablet (media Ue 59%).
Sono
di origine siciliana, di Acireale, a una quindicina di chilometri di Catania.
Città barocca e un tempo florida, per questo chiamata “reale” rispetto alle
altre numerose Aci dell’area (tutte con il nome basato sul fiume sorto dalla
leggenda di Aci e Galatea). Finita l’agricoltura “baronale” del latifondo, era
diventata un importante centro di produzione e di commercio di agrumi nonché
un’importante cittadina per le attività commerciali in generale. Oggi appare un
deserto con filiali bancarie e gelaterie chiuse nell’elegante piazza centrale e
negozi sbarrate nei principali “corsi”. La stessa Scuola Nazionale
d’Amministrazione ha smantellato la propria sede siciliana, situata in un
prestigioso collegio dei gesuiti, e che era diventata un punto di aggregazione
intellettuale, anche grazie al centro di formazione europeo, finanziato dalla
Commissione Ue. Si tenta di utilizzare il turismo come leva di sviluppo, ma
sino ad ora i risultati non sono brillanti.
Da
anni nel dibattito politico-culturale non si parla di Mezzogiorno, se non
lamentando il progressivo degrado. Gli indicatori economici prodotti
periodicamente dall’Istat e da istituti di ricerca documentano non solo come
sta aumentando il divario tra Pil pro capite del sud e delle isole e il resto
del Paese e la ripresa dell’emigrazione alla ricerca di lavoro, ma anche un
vero e proprio processo di desertificazione dell’industria manifatturiera.
Mentre è proprio la manifattura a essere il tassello per lo sviluppo del
Mezzogiorno. In effetti, il sud e le isole non sembrano avere più quella
centralità nella politica economica italiana che avevano quando all’inizio
degli anni Novanta, il “Rapporto Amato”, commissionato dal Parlamento all’ex
presidente del Consiglio (e ora giudice costituzionale) e a cui collaborarono
tutti i maggiori centri italiani di analisi, produsse una serie di proposte
(peraltro mai attuate) per porre il problema al centro della politica economica
del Paese indicando anche azioni e strumenti specifici.
I
programmi delle principali forze politiche non pare pongano enfasi sul sud e
sulle isole. L’aspetto centrale di quello del centrodestra è la flat tax che
nel Mezzogiorno dovrebbe avviare un processo virtuoso facendo emergere il
sommerso e alleggerendo gli oneri complessivi su chi lavora e chi produce. Il
Movimento Cinque Stelle punta sul reddito di cittadinanza che aumentando i
consumi dovrebbe stimolare investimenti e produzione. Il Partito Democratico
propone una continuazione del mix infrastrutture, sviluppo sociale e giustizia.
Si
dovrebbe forse pensare a una riorganizzazione delle istituzioni finanziarie in
essere e dei loro strumenti. Ci sono due aspetti in particolare che, anche alla
luce della fine dei “banchi” meridionali – quello di Napoli e quello di Sicilia
– e dell’evoluzione (pure tecnico-metodologica) degli ultimi quarant’anni
meritano di essere esaminati con cura: a) il merito e il rischio di credito dei
soggetti e b) la valutazione dei progetti.
Senza
dubbio, gli istituti preposti al credito a medio termine hanno esperienza di
analisi di merito e di rischio. Portano un bagaglio ricco di culture
differenti, più spesso in materia di analisi di merito ma meno profondo in
campo di rischio. Sarebbe utile, ove non essenziale, mettere in atto un
programma organico di seminari e di corsi di formazione sia per trarre il
meglio dal ricco bagaglio sia per definire parametri di valutazione dei
potenziali creditori e criteri di scelta uniformi sia per irrobustire le
analisi di rischio.
Dal
merito e dal rischio del soggetto si dovrebbe passare alla valutazione
dell’oggetto – il progetto. In questa materia, ha avuto per anni esperienza la
Cassa Depositi e Prestiti che già alla metà degli anni Ottanta aveva creato nel
proprio seno un gruppo di valutazione che utilizzava metodi e procedure
semplificate, ma rigorose, per esaminare proposte d’investimento dei Comuni. Il
gruppo ha operato, con alterne vicende, sino a qualche anno fa quando si è
sfarinato per vari motivi (pensionamenti, poco interesse da parte del
management). Occorre ripristinarlo. Oppure creare una struttura del genere
altrove. Non si può eludere il problema. E tornare a progetti fasulli o
inesistenti o a basso rendimento economico e sociale.
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