OPERA/ Donizetti: "La Favorite" approda a Firenze in francese
La favorite, la cui prima ebbe luogo all’Opéra di
Parigi nel 1840 con grande risonanza, è uno dei più importanti lavori del
periodo francese di Donizetti. GIUSEPPE PENNISI 24 febbraio 2018 Giuseppe Pennisi
Foto di
Pietro Paolini
Molto bello vedere, il 22 febbraio, il nuovo teatro d’opera di Firenze
straripante in ogni ordine di posti, con la seconda galleria piena di liceali -
un chiaro segnale che la situazione sta cambiando. In meglio. In scena, La
favorite di Gaetano Donizetti nella versione francese, mai rappresentata a
Firenze, sul podio Fabio Luisi direttore musicale designato del Maggio
Fiorentino.
La favorite, la cui prima ebbe luogo all’Opéra di Parigi nel 1840
con grande risonanza, è uno dei più importanti lavori del periodo francese di
Donizetti; più nota al pubblico nella versione italiana - realizzata poco dopo
il successo parigino - di Francesco Iannetti il cui adattamento in versione ritmica,
puntava ad attenuare, o addirittura a cancellare di fatto, tutti i riferimenti
più scabrosi, rendendo la vicenda a tratti priva di mordente, quando non del
tutto incomprensibile. Viene presentata al Maggio nell’originale versione
critica e filologica francese curata da Rebecca Harris-Warrick nel 1997 per
Ricordi.
La favorite ha avuto una stesura travagliata: nasce come
rielaborazione de L'ange de Nisida, opera che non andò mai in scena
perché il teatro parigino (il Théâtre de la Renaissance) che l'aveva commissionata
fallì lo stesso anno e il libretto originario, che trattava dell'amante di un
re di Napoli, avrebbe avuto problemi con la censura italiana. Gaetano Donizetti
scelse di unire alla base musicale qualche scrittura nuova e soprattutto parti
da altre sue opere, come l'Adelaide (anche essa mai andata in scena), L'assedio
di Calais, Le duc d'Albe, Pia de' Tolomei, e presentò
all'Opéra un dramma musicale in cui la vicenda, trasposta nella Castiglia del
XIV secolo, narra la passione infelice tra Fernand e Léonor, la favorita di re
Alphonse XI.
Nonostante Donizetti avesse attinto a suoi lavori differenti tra
loro, La favorite è molto unitaria stilisticamente e coesa dal punto di
vista drammaturgico. E’ un’opera che vive di tutto ciò che vive tutta l’opera
del primo romanticismo: bellissimi finali, bellissime melodie e arie, duetti –
mirabili quelli iniziali e finali tra Léonor e Fernand – e offre uno strepitoso
quarto e ultimo atto che fece entusiasmare anche Toscanini che lo definì una
delle più belle pagine mai scritte nella prima metà dell’Ottocento
Ricordo una messa in scena molto coesa di Walter Pagliaro nel 2002 al
Teatro Comunale di Bologna con Maurizio Benini alla direzione musicale, Sonia
Ganassi e Giuseppe Filianoti; la complessa vicenda era ambientata in una sala
cinematografica durante la guerra di Spagna
L’allestimento presentato a Firenze viene dal Liceu di Barcellona in
co-produzione con il Real di Madrid. E’ un allestimento che gira da moli anni;
ricordo di averlo visto a Barcellona, con Richard Bonynge sul podio, nel 2005.
Il regista Ariel Garcìa-Valdès non tenta di dare un senso alla vicenda (che
pur, specialmente nella versione francese, potrebbe averne), ma si limita a
illustrare la musica. L’impianto scenico unico (un torrione girevole su cui si
aprono vari spazi) è volutamente minimalista; ci dobbiamo immaginare sia il
monastero di Compostella, sia i giardini dell’Alcazar, sia le isole del golfo
del Leon. I costumi sono volutamente atemporali. La scene ed i costumi sono di
Jean–Pierre Vergier.
La messa in scena, quindi, fa parlare soprattutto la parte
musicale. Che parla alla grande. Sin dalla breve ouverture, le braccia larghe
di Fabio Luisi ci rammentano che siamo in quel grand opéra che, in quegli anni,
trionfava sulle scene parigini. Una direzione d’orchestra piena di colori; da
quelli mistici del monastero di Compostella a quelli sensuali dell’isola del
Léon a quelli densi d’intrighi del Palazzo Reale. Una lettura che non fa
rimpiangere Bonynge e che promette bene per il futuro del Maggio Fiorentino.
Veronica Simeoni è una Léonor a tutto tondo: riceve applausi a
scena aperta sin dalla cavatina iniziale ed una vera e propria ovazione nella
grande scena ed aria al terzo atto e nel tragico duetto finale. Alla sua voce
brunita viene contrapposta quella chiarissima di Celso Albelo, un tenore lirico
dal timbro chiarissimo, fraseggio perfetto ed acuti squillanti. Una
rivelazione, almeno per il vostro chroniqueur, il Re di Mattia Olivieri,
giovane baritono di agilità, tra l’altro unico tra i protagonisti con una
perfetta dizione francese. Di grande livello, il Balthasar di Ugo Guagliardo,
Ottimo il coro guidato da Lorenzo Fratini.
Buoni gli altri.
Numerosi applausi a scena aperta ed ovazioni alla compagnia (anche alla
regia).
©
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