FINANZA/ Così Fed e Bce
possono far ballare i mercati
Sono in
vista dei cambi della guardia importanti nelle principali banche centrali
mondiali. Una situazione che può acuire gli scossoni dei mercati. GIUSEPPE
PENNISI 12 febbraio 2018 Giuseppe Pennisi
Lapresse
La settimana
scorsa Janet Yellen ha completato il proprio mandato alla guida della Federal
Reserve americana ed è stata sostituita da Jerome H. (detto Jay) Powell, la cui
nomina da parte del Presidente Donald Trump è in attesa di essere ratificata
dal Congresso. Il cambiamento, come ci dicono le cronache finanziare dei giorni
scorsi, è stato salutato con nervosismo dai mercati azionari, in primo luogo da
Wall Street e, subito dopo, dalle maggiori piazze europee. Non si tratta del
primo cambiamento ai vertici di una delle maggiori autorità monetarie mondiali.
Alla stessa Federal Reserve ci potrebbero essere altre sostituzioni nei
prossimi mesi; tra componenti del Consiglio dell'autorità federale in scadenza
e possibili dimissioni (di cui si parla nella Washington-che-può), Trump
potrebbe disporre di quattro nomine; dalle sua scelte dipenderà se Powell (un
uomo di finanza, non un economista come coloro che lo hanno preceduto negli
ultimi quaranta anni) avrà vita facile o difficile nel suo compito di forgiare
un consenso nel direttorio monetario. Uno dei suoi "colleghi"
potrebbe essere John Taylor, dell'Università di Stanford, critico durissimo
della Fed negli ultimi anni e noto per non avere un carattere facile.
Tra breve,
anzi tra brevissimo, il settantenne Zhou Xiaochuan, da numerosi anni alla guida
della banca centrale cinese, potrebbe essere mandato in pensione; non gli è
stato rinnovato il mandato di Vice Presidente del Comitato Consultivo Politico,
incarico che aveva dal 2013. Il Comitato è stato convocato per il 2 marzo ed è
probabile che il "cambio della guardia", se è stato deciso, avverrà
prima di allora, forse alla vigilia. Quasi certo, il cambiamento al vertice
della Bank of Japan. Il mandato del Governatore Haruhiko Kuroda scade in
aprile; è stato nominato cinque anni fa dall'attuale Primo Ministro Shinzo Abe,
ma a Tokyo si dà quasi per certo che non avrà un secondo mandato.
Infine,
anche per la carica di Presidente della Banca centrale europea sono già in
corso trattative pur se il mandato (non rinnovabile) di Mario Draghi scade
solamente al termine del 2019. I due favoriti sarebbero Jens Weidmann,
Presidente della Bundesbank, e Francois Villeroy de Galhau, Governatore della
Banque de France. Francia e Germania sono i due azionisti di maggioranza
dell'eurozona; tra loro c'è per di più una salda alleanza. Se non sarà uno dei
due a sostituire Draghi è, comunque, probabile che i due Governi decideranno
insieme di candidare un banchiere centrale dei Paesi nordici.
È plausibile
attendersi tensioni sui mercati azionari, più o meno forti, a ogni cambio al
vertice di questi istituti. Soprattutto, però, i banchieri centrali dell'ultimo
scorcio di questo secondo decennio del ventunesimo secolo si troveranno a
operare in un contesto molto differente rispetto a quello dei loro immediati
predecessori. Questi ultimi hanno guidato le banche centrali in fase in cui
politiche monetarie "accomodanti" erano uno strumento per uscire
dalla recessione iniziata dal 2008 (e dalle relative crisi di banche
commerciali e di investimento anche di dimensioni molto grandi) e facilitare
una ripresa più o meno sostenuta. Ora il contesto è mutato drasticamente.
Alcune economie - principalmente quella degli Stati Uniti - stanno accelerando
più del previsto. Alcuni mercati azionari - ancora una volta soprattutto Wall
Street - sono arrivati all'inizio di febbraio a livelli che parevano non in
linea con i fundamentals (l'andamento di fondo dell'economia reale e
della finanza pubblica). I banchieri centrali hanno il difficile compito di
ridurre il numero di bottiglie di alcolici quando la festa diventa troppo
allegra e minaccia di finire fuori controllo, evitando, però, al tempo stesso
di inviare segnali che possano essere male interpretati e scatenino una nuova
recessione.
Il fine
tuning è reso più arduo dall'abbondanza di obbligazioni sui mercati
mondiali, un frutto dei disavanzi e dei debiti pubblici. Quelli emessi
nell'ultimo decennio hanno rendimenti molto bassi, proprio in quanto il
contesto era di politiche monetarie "accomodanti". Non possono non
essere sensibili anche a modesti aumenti dei tassi d'interesse che da bassi
farebbe diventare negativi i loro rendimenti. Con implicazioni molto serie per
tutti, anche per i mercati azionari. Per questo motivo Janet Yellen e i suoi
colleghi avevano iniziato una politica di "aggiustamenti" molto
graduali, quasi minimali, dei tassi. È verosimile che questa strada verrà seguita
dal suo successore.
In Europa e
in Giappone si persegue ancora una politica monetaria "accomodante",
ma in una fase di espansione normale, di ripresa dell'inflazione e di segnali
di "bolle" in questo o quel settore, non è detto che possa continuare
molto a lungo. Soprattutto, gli Stati Uniti sono una calamita e la sola
sensazione di aumenti dei tassi americani potrà attirare capitali e
investimenti negli Usa rendendo più difficile la ripresa nei Paesi da cui
capitali e investimenti emigrano. In seno alla stessa Banca centrale europea si
stanno levando voci critiche su misure monetarie, sia convenzionali sia non
convenzionali, considerate troppo "accomodanti".
La
situazione dell'Italia è particolarmente difficile perché - come sottolineato
il 5 febbraio su questa testata - non siamo stati ancora in grado di
agganciarci alla ripresa mondiale e potremmo dover far fronte a un aumento
anche leggero dei tassi che avrebbe implicazioni molto pesanti su economia
reale e debito pubblico. Alcuni economisti italiani ritengono che un
"divario" tra politiche monetarie americane ed europee è fattibile.
Le vicende della settimana scorsa mostrano che i mercati sono strettamente
integrati e che, quindi, un coordinamento tra banche centrali è quanto mai
necessario.
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