‘“Un ballo in maschera” bello perché al servizio di
Verdi
GIUSEPPE
PENNISI
ROMA
La nuova
produzione del verdiano Un ballo in maschera, che ha debuttato domenica
all’Opera di Roma e resterà in scena sino al 30 di questo mese, si distingue da
altri allestimenti recenti per due aspetti importanti.
In primo
luogo, l’azione non è collocata, come di consueto, in un mitico quanto
improbabile “governatorato di Boston” (artificio per superare i veti delle
varie censure che nel 1858-59 non accettavano un regicidio in scena), ma nella
Svezia della fine del Settecento, quando, in seguito ad una congiura di
palazzo, avvenne l’assassinio di Gustavo III durante una festa. Il regista Leo
Muscato e i suoi collaboratori (Federica Parolini per le scene Silvia Aymonimo
per i costumi) hanno fatto questa scelta non solo perché la produzione è
coprodotta con l’Opera di Malmö o in quanto in numerosi Paesi dell’Europa
centrale e negli Stati Uniti si opta per l’ambientazione svedese ma anche per
ragioni musicali. In secondo luogo, infatti, come nota il musicologo Roger
Parker, la struttura musicale di Un ballo in maschera è un’abile e
riuscita fusione di due stili: il melodramma italiano ed il grand opéra
che Verdi aveva assaporato nella sua opera precedente, Les Vêpres
Sicilienne. Del grand opéra, Verdi utilizza l’orchestrazione
complessa (sin dal breve preludio in cui vengono intrecciati i temi del primo
quadro) sia le voci di coloratura (non solo per il paggio Oscar ma anche per il
tenore protagonista che impersona Gustavo III). Dal melodramma, il soprano
drammatico (Amelia) e il mezzosoprano-contralto (Ulrica). In due momenti
dell’opera (il confronto tra il Re e Ulrica al primo atto, e la “scena della
risata” al termine del secondo atto) i due stili si fondono naturalmente, senza
quasi intermediazione da parte di Verdi. Questi aspetti drammaturgici e
musicali sono messi in risalto più e meglio che in altri allestimenti recenti
(ad esempio quello curato da Damiano Michie-letto per la Scala e per il Teatro
Comunale di Bologna). La concertazione è affidata a Jesús López- Cobos, il
quale non solo cura l’equilibrio tra palcoscenico e buca ma mette in risalto la
ricchezza dell’orchestrazione, l’uso del contrappunto e dei “motivi conduttori”
mnemonici (per ricordare situazioni ed eventi, molto distanti da quelli che in
quel periodo stava sviluppando Richard Wagner). Il coro, diretto da Roberto
Gabbiani, ha un ruolo da protagonista e interviene sapientemente nell’azione al
primo e al terzo atto.
Franceso
Meli (più volte applaudito a scena aperta) è un maturo e abile Riccardo; dal
suo debutto nel ruolo la voce si è leggermente spessita ma la sua coloratura e
i suoi legati sono rimasti bellissimi per chiarezza, trasparenza e capacità di
tenere a lungo note difficili (dal sì naturale al do). Serena Gamberoni (moglie
di Francesco Meli nella vita) è un Oscar frizzante e pieno di agilità non solo
vocale ma anche scenica. Hui-Hue è un’Amelia altamente drammatica (come sono
numerosi soprani verdiani dalla seconda parte de
La traviata in poi) e Dolores Zaijick (classe
1952), Ulrica, al passare degli anni, ha arricchito il proprio registro sino a
scendere a livello da contralto. Simone Piazzola (Anckaström) è, come sempre un
ottimo baritono verdiano.
Teatro pieno
e pubblico entusiasta.
©
RIPRODUZIONE RISERVATA
All’Opera un
nuovo allestimento aderente, nella regia di Leo Muscato e nella direzione di
López-Cobos, a drammaturgia e scrittura che mescolano tradizione italiana e
francese. Ottimi Meli e il resto del cast
Un ballo in
maschera (Yasuko Kageyama)
Copyright ©
Avvenire
Nessun commento:
Posta un commento