Ecco cosa pensano i tedeschi della situazione in Italia
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Il commento dell'economista Giuseppe Pennisi
Ho passato alcuni giorni a Monaco di Baviera dove ho avuto modo di
incontrare gli economisti del CESifo, uno dei maggiori, ove non il maggiore,
centro studi di ricerca economica tedesca, e di scambiare con loro alcune idee
sull’Italia e sulla Germania nell’eurozona. Sino a pochi mesi (quando è andato
in pensione) e per un quarto di secolo, il loro presidente è stato Hans-Werner Sinn, considerato come il principale consigliere
economico del Cancelliere Angela Merkel.
Dato che si è
trattato di conversazioni private, mi limito a riferire solo alcuni punti
centrali.
Il consolidamento
della finanza pubblica e la legge di bilancio italiana sono, come è noto,
ancora in confezione, ma rappresentano un elemento di forte preoccupazione per
le deroghe che da Roma vengono chieste al Fiscal Compact. Il riferimento
specifico non è tanto a quella che il governo italiano chiama flessibilità, ma
al rinvio di anno in anno dell’equilibrio strutturale di bilancio che la
Germania, a torto o a ragione, considera uno dei pilastri dell’intera
costruzione europea. In base alla legge costituzionale rinforzata approvata dal
Parlamento italiano, il pareggio si sarebbe dovuto raggiungere nel 2014. Ora si
parla di rinvio al 2017-18 e un ulteriore disavanzo nell’esercizio del 2017 non
può non fare ritardare questo obiettivo ed aumentare un debito pubblico che già
è causa di forti timori.
Le stime del
disavanzo, inoltre, si basano su ipotesi macro-economiche di crescita reale che
è difficile considerare realistiche. Il governo italiano stima che il tasso di
crescita del pil aumenterà dallo 0,8 per cento circa nel 2016 all’1 per cento
nel 2017. E’ arduo, pensano al CESifo, prevedere un rafforzamento della
crescita in Italia quando, secondo i dati diramati l’8 ottobre dal gruppo del
consensus (i 20 maggiori istituti economentrici mondiali, tutti privati,
nessuno italiani), si prevede un rallentamento della crescita mondiale ed uno
scivolamento di quella dell’eurozona dall’1,5 per cento nel 2016 all’1,2 per
cento nel 2017. E’difficile individuare quali sono le determinanti che
farebbero divergere le tendenze italiane da quelle internazionali ed europee.
Se non vengono prese misure rigorose di consolidamento della spesa pubblica, a
fine 2017 l’indebitamento netto della pubblica amministrazione potrebbe
superare in misura significativa il 3 per cento del pil e comportare l’apertura
di una “procedura d’infrazione” da parte delle autorità europee,
In questo contesto
appare ancora più preoccupante il quadro del debito pubblico che,
particolarmente se aumentano i tassi, potrebbe sfiorare il 137 per cento del
pil. Gli aumenti dello spread in queste ultime settimane potrebbero diventare
più intensi e indurre i fondi stranieri, che detengono circa la metà dei titoli
di debito italiani, a vendere, causando ulteriori incremento dello spread
mettendo in atto una vera e propria spirale. Non sono i risultati del
referendum (peraltro già metabolizzati dai mercati) ma l’evoluzione delle
finanza e del debito pubblico a mettere in serie difficoltà chiunque sarà al Governo
la primavera prossima,quando i nodi verranno al pettine
Tutte le principali banche dell’eurozona sono in situazioni allarmanti,
come ha sottolineato di recente il Fondo monetario. Tuttavia la situazione del
sistema bancario italiano è molto peggiore di quella della Deutsche Bank poiché per la grande banca tedesca non è ancora
chiaro se è necessaria una ricapitalizzazione mentre i vari tentativi di
rimettere ordine al Monte dei Paschi di Siena non sembrano andare in porto e minacciano di trascinare parte del
resto del sistema.
15/10/2016
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