venerdì 28 ottobre 2016

Rendimenti mai così bassi in Europa dai tempi della scoperta dell’America Così i capitali «emigrano» negli Usa in Avvenire 29 ottobre




Rendimenti mai così bassi in Europa dai tempi della scoperta dell’America Così i capitali «emigrano» negli Usa
In un documento per il Council on Foreign Relations degli Stati Uniti, Brad W. Setser, a lungo dirigente del Tesoso Usa, riassume studi tecnici sui flussi di capitale entrati negli Usa negli ultimi due anni. Si tratta di ben 750 miliardi di dollari, una cifra pari a circa un terzo del Pil dell’Italia: circa 500 miliardi vengono da operatori finanziari europei e asiatici che acquistano prevalentemente obbligazioni (titoli di stato Usa o emissioni di grande imprese come la General Electric e l’IBM) mentre gli altri 250 miliardi sono principalmente fondi di operatori americani che ritornano a casa dati i bassi tassi d’interesse (e gli ancora più bassi rendimenti in Europa).
Ciò pone una serie di interrogativi. In primo luogo, all’approssimarsi delle elezioni presidenziali americane, i flussi di capitali attraverso l’Atlantico ed il Pacifico alla volta dell’ultima spiaggia americana hanno una battuta di arresto o una flessione in attesa di sapere chi sarà il vincitore. L’accelerazione può spiegarsi nel senso che questa volta, pur con accenti molto differenti, i due canditati si sono espressi apertamente in favore dell’'investing in America first' (innanzitutto investire negli Usa) e hanno minacciato di rafforzare le penalizzazioni (già in vigore) nei confronti di cittadini americani residenti all’estero che investono In secondo luogo, i mercati asiatici mostrano turbolenze; pochi credono in una crescita del 6,7% del Pil cinese ed altri Paesi della regione sono in serie difficoltà. In terzo luogo, l’Europa preoccupa gli operatori americani ed internazionali per il rischio di sfaldamento dopo la Brexit, di scarsa disciplina nell’eurozona e, soprattutto, di sovrabbondanza di risparmi rispetto alle occasioni d’investimenti.
Il vero e proprio tracollo dei tassi ha per intensità un unico precedente: il periodo successivo alla scoperta dell’America. Ciò fa sorgere ragionevoli dubbi anche sul fatto che la politica monetaria non convenzionale (quale il QE) possa avere effetti su un’economia che sarebbe invece alle prese di una sovrabbondanza di risparmi rispetto alle opportunità d’investimenti. Nell’immediato, ciò pone un ulteriore dubbio: quanto ci si può aspettare, in termini di gettito, dalla voluntary disclosure in una fase in cui i capitali vanno oltre oceano, spinti da aspettative di benefici maggiori di quelli di un ritocco tributario?
Giuseppe Pennisi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://charts.stocktwits.com/production/original_32424681.jpg?1423500593

Il vero e proprio tracollo dei tassi ha per intensità un unico precedente : il periodo successivo alla scoperta dell’America . Ciò fa sorgere ragionevoli dubbi anche sul fatto che la politica monetaria ‘non convenzionale’ (quale il Q.E,) possa avere effetti su un’economia che sarebbe invece alle prese di un saving glut (sovrabbondanza di investimenti rispetto alle opportunità d’investimenti). Nell’immediato, ciò pone un ulteriori dubbio: quanto ci si può aspettare, in termini di gettito, dalla voluntary disclosure in una fase in cui i capitali vanno oltre oceano,spinti da aspettative di benefici, maggiori di quelli di un ritocco tributario?.


In un documento per il Council on Foreign Relations degli Stati Uniti, Brad W. Setser, a lungo dirigente del Tesoso Usa, riassume studi tecnici sui flussi di capitale entrati negli Usa negli ultimi due anni. Si tratta di ben 750 miliardi di dollari, una cifra pari a circa un terzo del Pil dell’Italia: circa 500 miliardi vengono da operatori finanziari europei e asiatici che acquistano prevalentemente obbligazioni (titoli di stato Usa o emissioni di grande imprese come la General Electric e l’IBM) mentre gli altri 250 miliardi sono principalmente fondi di operatori americani che ritornano a casa dati i bassi tassi d’interesse (e gli ancora più bassi rendimenti in Europa).
Ciò pone una serie di interrogativi. In primo luogo, all’approssimarsi delle elezioni presidenziali americane, i flussi di capitali attraverso l’Atlantico ed il Pacifico alla volta dell’ultima spiaggia americana hanno una battuta di arresto o una flessione in attesa di sapere chi sarà il vincitore. L’accelerazione può spiegarsi nel senso che questa volta, pur con accenti molto differenti, i due canditati si sono espressi apertamente in favore dell’'investing in America first' (innanzitutto investire negli Usa) e hanno minacciato di rafforzare le penalizzazioni (già in vigore) nei confronti di cittadini americani residenti all’estero che investono In secondo luogo, i mercati asiatici mostrano turbolenze; pochi credono in una crescita del 6,7% del Pil cinese ed altri Paesi della regione sono in serie difficoltà. In terzo luogo, l’Europa preoccupa gli operatori americani ed internazionali per il rischio di sfaldamento dopo la Brexit, di scarsa disciplina nell’eurozona e, soprattutto, di sovrabbondanza di risparmi rispetto alle occasioni d’investimenti.
Il vero e proprio tracollo dei tassi ha per intensità un unico precedente: il periodo successivo alla scoperta dell’America. Ciò fa sorgere ragionevoli dubbi anche sul fatto che la politica monetaria non convenzionale (quale il QE) possa avere effetti su un’economia che sarebbe invece alle prese di una sovrabbondanza di risparmi rispetto alle opportunità d’investimenti. Nell’immediato, ciò pone un ulteriore dubbio: quanto ci si può aspettare, in termini di gettito, dalla voluntary disclosure in una fase in cui i capitali vanno oltre oceano, spinti da aspettative di benefici maggiori di quelli di un ritocco tributario?
Giuseppe Pennisi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://charts.stocktwits.com/production/original_32424681.jpg?1423500593

Il vero e proprio tracollo dei tassi ha per intensità un unico precedente : il periodo successivo alla scoperta dell’America . Ciò fa sorgere ragionevoli dubbi anche sul fatto che la politica monetaria ‘non convenzionale’ (quale il Q.E,) possa avere effetti su un’economia che sarebbe invece alle prese di un saving glut (sovrabbondanza di investimenti rispetto alle opportunità d’investimenti). Nell’immediato, ciò pone un ulteriori dubbio: quanto ci si può aspettare, in termini di gettito, dalla voluntary disclosure in una fase in cui i capitali vanno oltre oceano,spinti da aspettative di benefici, maggiori di quelli di un ritocco tributario?.

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