FINANZA E POLITICA/ I
"nemici in casa" del governo
Pubblicazione:
lunedì 10 ottobre 2016
LaPresse
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NEWS Economia e Finanza
In una scena
chiave del film La battaglia di Austerlitz di Abel Gance, mentre
tutte le teste coronate d’Europa si inchinano all’Imperatore, la testa non
coronata ma acuta di Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, Principe di
Benevento gli sussurra “Attenzione, Maestà, la prima volta che perderete una
battaglia, tutti costoro saranno contro di Lei e sarà la fine dell’Impero”.
Napoleone, a differenza di altri leader (grandi e piccoli), adorava le proprie
truppe e da esse era adorato. Aveva stabilito poi un forte rapporto di stima reciproca
con la propria “alta dirigenza”, i generali; alcuni compensati con troni
importanti (come quello di Svezia dato a Bernadotte). Non è proprio la
strategia dl Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che chiama “mandarini” gli
alti dirigenti e “scansafatiche” gli statali in genere, i quali da circa otto
anni hanno dato grande prova di devozione allo Stato senza un rinnovo di
contratto. Non solo, nell’ottobre 2015 si è giunti a essere in grado di inviare
a Bruxelles una bozza di Legge di stabilità solamente perché la
dirigenza di dicasteri chiave ha passato notti intere in ufficio per
modificarne ripetutamente il testo al fine di soddisfare i tweet “confusi,
contraddittori, spesso illegittimi” provenienti da Palazzo Chigi - ci dice un
alto dirigente che, deluso, se ne è andato in pensione.
Possono
essere la parole di una persona scontenta per tanti ragioni, tra cui alcune di
lavoro. Ma a Franklin Templeton, uno dei più antichi e dei maggiori fondi
finanziari internazionali, ci sussurrano che il recente aumento dello spread
è in buona misura determinato da quel che sta bollendo nella pentola della
Pubblica amministrazione italiana: una forte protesta proprio nei giorni della
Legge di bilancio, mettendo in serio imbarazzo l’Esecutivo che non riuscirebbe
a inviare il documento all’Unione europea nei termini stabiliti. La protesta
nel comparto scuola sarebbe solo l’anticipo di un’azione molto più grossa e
molto più astuta: seguire puntualmente le regole e le pandette in queste
settimane. In tal modo, la Legge di bilancio non arriverebbe a Bruxelles prima
di novembre e si dovrebbe prendere atto, ancor prima del referendum,
dell’urgenza di un cambio di Esecutivo.
Il
detonatore è stato il decreto legislativo sulla dirigenza, ora al vaglio del
Consiglio di Stato, il cui parere, però, è non vincolante. In breve, i
dirigenti avrebbe incarichi brevi (una preoccupazione delle leggi Bassanini e
Brunetta era che fossero sufficientemente lunghi - sei anni - da scavalcare una
legislatura), un sistema di valutazione affidato in gran misura a chi ha poca
esperienza di public management, penali molto forti (pure degradazione)
a chi, anche se valutato positivamente, non trova ogni tre-quattro anni una
nuova casella (con inevitabile perdita di esperienza e produttività), trasformazione
della Scuola nazionale di amministrazione in una stazione appaltante, forte
immissione di dirigenti esterni a contratto.
Queste e
altre misure farebbero sì che i dirigenti pubblici, sempre sotto schiaffo,
perderebbero quella “imparzialità” loro richiesta dalla Costituzione. Pare che
il modello sia la Pubblica amministrazione del Guatemala, fortemente
precarizzata e al servizio non della Nazione ma dei politici di turno.
I sindacati,
l’Unadis, l’azione dei dirigenti formati alla Sna (prima del suo
deterioramento) hanno formulato proposte dettagliate ed emendamenti. Pare che,
innamorati del modello guatemalteco, a palazzo Vidoni nessuno li prenda in
considerazione. Contribuendo così alla costruzione dell’”arma segreta” del
fronte del No.
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