OPERA/ Verdi: quel "Ballo" che fu censurato da tutti tranne che dal Papa
Pubblicazione:
Foto di Yasuko Kageyama
Approfondisci
FESTIVAL VERDI/ Giovanna D'Arco al Teatro Farnese
NEWS Musica
21UNO/ "Sveglio all'alba": un imprevisto sussulto di bene
TAYLOR SWIFT / News: madre natura o chirurgia plastica? Le nuove curve della popstar non ...
EMMA MARRONE / Concerto Rimini, Adesso Tour parte dopo blackout dell'ultima tappa: la reazione ...
Emma Marrone Sadomaso / Video, 21 sfumature di Brown in scena su Facebook: una confessione ai ...
Gabriele Ciampi/ "In Dreams Awake", il compositore italiano che piace tanto agli Obama
Taylor Swift / News: Calvin Harris pronto a svelare i motivi della rottura con la cantante? ...
D’Annunzio definì Un Ballo “il più melodrammatico dei
melodrammi”. Bernard Shaw lo accusava di possedere tutto ciò di cui
Wagner aveva liberato il teatro. Ma si è detto anche che Un Ballo è il
Tristano e Isotta o il Don Giovanni di Verdi. Tante sono
state le parole spese sull’opera, così come i pareri e le letture nel corso
degli anni, spesso diametralmente opposte tra loro.
Ma al di là delle interpretazioni, Un Ballo rappresenta
l’unico caso in cui Verdi accettò di rielaborare il libretto (ben riuscito) di
un’opera che ancora era rappresentata sulle scene, ovvero quel Gustavo III
in cinque atti, scritto da Scribe per Auber, e ispirato a un fatto realmente
accaduto: la congiura e l’attentato contro il sovrano illuminato e filo
francese Gustavo III di Svezia.,
Le ragioni della scelta di Verdi possono essere state le più varie:
sicuramente la più semplice è l’urgente necessità di un testo. L’opera fu
rappresentata per la prima volta al Teatro Apollo di Roma il 17 febbraio del
1859, anno molto importante anche per le vicende personali di Verdi: conobbe
Cavour e sposò Giuseppina Strepponi, con la quale (scandalosamente!) conviveva
da quattordici anni.
Ma prima del debutto l’opera passò attraverso numerose
vicissitudini con la censura. La storia è quella di un marito che per vendetta
e gelosia uccide il presunto rivale in amore (e suo amico), niente meno che
il re di Svezia. Fin dall’inizio Verdi sapeva che rappresentare un
regicidio non sarebbe mai stato permesso nella Napoli borbonica o nella Venezia
o Milano austro-ungariche ed ancor meno nella Torino dei “bigotti” (almeno
ufficialmente) Savoia.
Inizialmente intitolata Una vendetta in domino, l’opera fu
considerata troppo “oltraggiosa” ai poteri costituiti dell’epoca. Fu così
proposta alla più “tollerante” Roma, accordandosi però su modifiche parziali:
Verdi trasferì l’azione nel Nordamerica del Seicento e Gustavo III venne
divenne il Governatore di una Boston da caricatura.
Non sono stati, quindi, Damiano Michieletto e Pierluigi Pizzi i
primi a spostare l’azione di Un Ballo in America sotto il profilo
temporale e spaziale. Michieletto, alla Scala ed al Teatro Comunale di Bologna,
portò l’azione ai nostri giorni; Pizzi, a Piacenza e Macerata, ai giorni
dell’assassinio di Kennedy a Dallas. L’idea fu di Giuseppe Gioacchino Belli,
nella sua veste non di poeta ma di presidente della Commissione di Censura
dello Stato Pontificio a metà Ottocento.
Secondo l’editore Ricordi, Belli era molto sensibile “all’idea di quel metallo” (un verso notissimo del rossiniano Barbiere di Siviglia) che lo stimolava a dare il meglio di sé. Suggerì lo spostamento di luogo e di epoca che permise a Verdi (e a Ricordi) di far debuttare l’opera a Roma nel marzo 1859 al Teatro Apollo a Tor di Nona (successivamente distrutto da un incendio; oggi una stele sul Lungotevere ricorda il luogo dove era stato eretto). Non che Belli intascasse volgari “bustarelle”, ma nella Roma del Papa Re gli alti burocrati avevano stipendi da fame che integravano con doni da fare aguzzare il cervello.
Secondo l’editore Ricordi, Belli era molto sensibile “all’idea di quel metallo” (un verso notissimo del rossiniano Barbiere di Siviglia) che lo stimolava a dare il meglio di sé. Suggerì lo spostamento di luogo e di epoca che permise a Verdi (e a Ricordi) di far debuttare l’opera a Roma nel marzo 1859 al Teatro Apollo a Tor di Nona (successivamente distrutto da un incendio; oggi una stele sul Lungotevere ricorda il luogo dove era stato eretto). Non che Belli intascasse volgari “bustarelle”, ma nella Roma del Papa Re gli alti burocrati avevano stipendi da fame che integravano con doni da fare aguzzare il cervello.
In effetti, il luogo dell’azione cambiò spesso: nel 1861 l’opera fu
ambientata a Firenze. Lo stesso anno, in scena a Londra, fu ambientata a
Napoli. Nelle rappresentazioni degli ultimi decenni è spesso restaurato
l’ambiente storico di Stoccolma e di una Corte dove, anche a ragione di avere
un Re proto-illuminista, il clima era più libertino che liberale (e non piaceva
quindi ai tradizionalisti luterani). Pare che, nella realtà effettuale delle
cose, Gustavo III fosse “libertino assai” (si direbbe a Napoli) e avesse
orientamenti bisessuali (per questa ragione, nell’opera, il paggio Oscar è un
soprano lirico di coloratura). Quindi, proprio l’antitesi della intelligentsia
puritana a Palazzo
In Italia, prima di Michieletto, Pier Luigi Pizzi, in una versione
presentata a Piacenza, Madrid, Palermo e Macerata, ha situato Un Ballo nella
Dallas nei giorni dell’assissinio di Kennedy (22 novembre 1963). Negli Stati
Uniti, per ragioni di economia, si è spesso alternata l’opera Willy Stark del
1981 di Carlside Floyd (ispirata al Governatore della Louisiana del romanzo e
film di successo Tutti gli Uomini del Re) con Un Ballo al
fine di utilizzare gli stessi costumi e le stesse scene; quindi, inserendo la
vicenda in una campagna elettorale senza esclusione di colpi- daHouse of
Cards Anni Cinquanta.
Nella coproduzione con l’Opera di Malmö del verdiano Un
Ballo in Maschera in scena a Roma l’azione è riportata nella Svezia
de 1792. Il regista Leo Muscato e i suoi collaboratori (Federica Parolini per
le scene Silvia Aymonimo per i costumi) hanno fatto questa scelta non solo
perché la produzione è od in quanto in numerosi Paesi dell’Europa centrale e
negli Stati Uniti si opta per l’ambientazione svedese ma anche per ragioni
musicali. La struttura musicale di Un Ballo è un’abile
fusione di due stili: il melodramma italiano ed il grand-opéra che
Verdi aveva imitato in Les Vêpres Sicilienne. Del grand-
opéra utilizza l’orchestrazione complessa (sia le voci di
coloratura non solo per il paggio Oscar ma anche per il tenore protagonista che
impersona Gustavo III). Dal melodramma, il soprano drammatico (Amelia) ed il
mezzosoprano-contralto (Ulrica). Molto efficace la scene ed i costumi di
Muscato e della sua squadra-
La concertazione è affidata a Jesús López-Cobos il quale mette in
risalto la ricchezza dell’orchestrazione, l’utilizzazione del contrappunto e
dei ‘motivi conduttori’). Il coro, diretto da Roberto Gabbiani, ha un ruolo da
protagonista ed interviene sapientemente nell’azione al primo ed al terzo atto.
Franceso Meli (più volte applaudito a scena aperta) è un maturo ed
abile Riccardo: la sua ‘coloratura’ ed i suoi ‘legati’ sono bellissimi
per chiarezza, trasparenza e capacità di tenere a lungo note difficili – Oscar
è Serena Gamberoni frizzante e piena di agilità non solo vocale ma anche scenica.
Hui-Hue è un’Amelia altamente drammatica e Dolores Zaijick Ulrica - al passare
degli anni, ha arricchito il proprio registro sino a scendere a livello da
contralto. Simone Piazzola (Anckaström) è, come sempre un ottimo baritono
verdiano. Pubblico entusiasta.
© Riproduzione Riservata.
Nessun commento:
Posta un commento