Il successo delle operette “Il
Pipistrello” e “La Vedova Allegra” al Ravenna Festival
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L'articolo
di Giuseppe Pennisi
Su Formiche.net del
16 ottobre si è parlato dell’importanza del breve festival di
operette – in coproduzione con i migliori teatri ungheresi – in corso a Ravenna
nella consueta “trilogia d’autunno”. In quell’occasione abbiamo recensito La
Contessa Maritza di Emmerich Kálmán, un’operetta che
debuttò nel 1924 quando questa forma di spettacolo sembrava votata al tramonto.
Gli altri
due lavori in scena a Ravenna sono titoli notissimi: Il Pipistrello di
Johann Strauss jr. (di cui a capodanno ed a gennaio
si vedrà una produzione in forma di balletto al Teatro dell’Opera di Roma) e La
Vedova Allegra (spesso nei nostri teatri). Due lavori
conosciutissimi, i cui debutti sono separati da circa 30 anni (1874
per Il Pipistrello e 1905 per La Vedova Allegra),
tre decenni che rappresentano l’età dell’oro dell’operetta danubiana.
In Italia,
l’operetta è praticamente sparita, tranne pochi titoli. Anche e soprattutto
perché nel nostro Paese se ne sono occupati principalmente compagnie di giro
con orchestre molto carenti (a volte sostituite da nastri registrati) e
cantanti- attori più adatti alla commedia musicale o alla rivista ed
all’avanspettacolo che all’operetta dove – come si è visto – sono
necessarie voci impostate per la lirica ed orchestre di medie dimensioni
(quali quelle delle opere di Bellini e Donizetti e dei primi
sette lavori di Verdi). Non solo ci sono commedie musicali americane (si
pensi a A Little Night Music ) e tedesche (ad esempio, Aufstieg
und Fall der Stadt Mahagonny) che hanno il rango di operette ove non di
vere e proprie opere. C’è la tradizione britannica delle commedie di Gilbert
& Sullivan, veri proprio gioielli di umorismo e canto con voci impostate ed
orchestre di medie dimensioni. Nell’Ohio, nella piccola città universitaria di
Wooster, esiste da 38 anni la Light Opera Company che ha in repertorio una
quarantina di titoli ed affianca l’operetta danubiana principalmente con quella
americana, britannica e francese; un numero adeguato dei loro spettacoli
sono in dvd e di tanto in tanto appaino su canali televisivi
specializzati come Classica e Rai 5.
Ma
torniamo a La Vedova Allegra e a Il Pipistrello. La
prima debuttò in scena quasi contemporaneamente a Salome di Richard
Strauss e di Madama Butterfly di Puccini, in
quanto eminentemente femminista; l’eros femminile, in vari modi, ne è il
motore. Al pari di Salome e di Madama Butterfly, La
Vedova Allegra arrivò sulla scena europea con una vera carica
rivoluzionaria per tre motivi: in primo luogo, per quanto adattata al teatro in
musica da una mediocre pochade di successo, non era una
rappresentazione, più o meno ironica, della società e della politica del tempo,
ma una lettura visionaria di come la Mitteleuropa (Lehar veniva da un piccolo
villaggio ungherese e per lustri si era guadagnato il pane nell’esercito e
guidando, quando poteva, bande di paese). Si immaginava fosse Parigi (metropoli
dell’avvenire) e prendeva in giro gli statarelli balcanici che volevano auto-considerarsi
in via di modernizzazione.
In secondo
luogo, utilizza una linea melodica ricchissima e vi inserisce brani da filone
aureo dell’opera (la Canzone di Vilja al secondo atto)
unitamente a prestiti dal melologo (parlato accompagnato da orchestra). In
terzo luogo, l’azione drammatica slitta, oltre che nei numeri musicali, in una
danza in cui, oltre ai valzer, alle polke, alle mazurche e alle marce
tradizionali, viene inserita la musica etnica per l’appunto slava, portando in
orchestra liuti d’ascendenza araba.
Infine, la
commedia in musica è coperta da un velo di malinconia, anticipatore, quasi
tanto quanto lo avrebbe fatto sei anni dopo Der Rosenkavalier di
Richard Strauss e Hugo von Hofmannsthal, dei colpi di pistola di
Sarajevo, nonché, con la Prima Guerra Mondiale, della fine di un mondo e della
centralità internazionale dell’Europa. L’orchestrazione e la vocalità, in linea
con questi tre aspetti fondanti, ne fanno un capolavoro musicale, adorato da
concertatori del livello di Kleiber, Rudel, von Karajan e von
Matacic. Questa premessa è essenziale per comprendere la tesi secondo cui
quale che sia l’adattamento de La Vedova Allegra, occorre
rispettarne lo spirito. Non ci sarebbe da scandalizzarsi di fronte a una
ambientazione “visionaria” magari nella New York di oggi (quale immaginata da
una piccola borghesia europea) con il Pontevedro come una Repubblica bananiera
dei Caraibi o dell’America centrale. Oppure in una Islanda in bancarotta o in
Irlanda e Grecia sull’orlo di esserlo, e in cui Hanna Glawary avesse
parte delle caratteristiche di Angela Merkel. Sempre che venissero rispettati
il carattere “visionario”, l’equilibrio tra parole e musica e la magnifica
partitura.
Come
mostrano le immagini, l’edizione in scena a Ravenna è rigorosamente filologica;
scene e costumi rievocano la Parigi della belle époque come
poteva essere immaginata dalla periferia dell’Impero: Kisztina Kónia e Zóltan
Bátki Fazesa sono i due splendidi protagonisti che cantano e ballano molto
bene, Albert Harmath è il buffo Mirko Zeta, Di buon livello Anita
Lukás (Valencienne) e Alessandro Codeluppi e tutti gli altri.
Il
Pipistrello è meno
filologico: scene e costumi ci portano in una belle époque stilizzata
e vista quasi con occhi moderni. Ma spettacolo è frizzante come una coppa
ghiacciata di champagne. Ritroviamo gli ottimi Zsolt Vadáz e Károli
Peller che ha già entusiasmato il pubblico in La
Contessa Maritza ed una Timea Vermes in grande forma. E si portati a
pensare che le compagnie stabili di repertorio sono una grande cosa.
19/10/2016
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